Cultura

Valentin, pittore «innamorato»

  • Abbonati
  • Accedi
new york

Valentin, pittore «innamorato»

Valentin De Boulogne, «Concerto», 1626, olio su tela,  Los Angeles, County Museum of Art
Valentin De Boulogne, «Concerto», 1626, olio su tela, Los Angeles, County Museum of Art

Valentin de Boulogne lo conosco bene. La mia storia con lui inizia 30 anni fa esatti, quando un collezionista milanese mi affidò l’onere e l’onore di scrivere la prima monografia – e finora l’unica – sul più misterioso e sublime pittore caravaggesco francese (1591/1594 -1632). Il libro vide la luce nel 1989, dopo tre anni di avvincenti ricerche, prefato da Pierre Rosenberg, allora direttore del dipartimento di pittura del Louvre. Sapevo di avere fatto un buon lavoro, individuando un corpus di 76 opere (64 autografe e 12 in attesa di ulteriori riscontri) e di avere permesso a Valentin – morto giovane e all’improvviso - di rivivere una seconda volta attraverso le mie parole, ma certo non immaginavo che avrei assistito al suo trionfo anche al di là dell’Oceano. In questi giorni, infatti, il Metropolitan di New York lo celebra con una mostra mozzafiato - 45 dipinti provenienti da mezza Europa e mai riuniti prima tutti insieme - curata da Keith Christiansen e da Annick Lemoine, esperta di caravaggismo francese, alla quale ho passato il testimone.

In corso fino al 16 gennaio 2017 Valentin de Boulogne: beyond Caravaggio sta riscuotendo entusiasmi anche tra i non addetti ai lavori, con lusinghiere recensioni sulla stampa locale - dal New York Times al The New Yorker - e soprattutto nel pubblico che si imbatte, per la prima volta, in questo gigante della pittura. La sua arte romantica e appassionata, nostalgica e dolente, lo isolò dai suoi compagni, ma divenne un punto di riferimento per i pittori della realtà del XIX secolo, da Courbet a Manet. Emulo del Caravaggio, lo sarebbe rimasto se fosse vissuto più a lungo?

Nato francese morì romano, dopo una fulminante esistenza trascorsa in compagnia di pochi amici pittori, di qualche giovane garzone, di collezionisti altolocati e di tanta violenza. Era giunto a Roma nel 1614, quattro anni dopo la morte del Caravaggio, insieme a olandesi, spagnoli, toscani ed emiliani assetati di novità. La città era pericolosa; ogni notte barbieri e chirurghi erano impegnati a curare uomini feriti in risse e duelli. Persino il suo compagno di stanza, lo scultore lorenese Davide La Riche, morì nel 1626 per le gravi ferite riportate in uno scontro per strada. La morte era dappertutto, ma sulla tela Valentin mise la vita, dipingendo soldati e musici, santi e profeti, zingare e giocatori.

Le carte d’archivio sono laconiche, ma lasciano trapelare alcuni indizi: abita in via Margutta, nel nuovo quartiere di Santa Maria del Popolo; è cristiano e praticante in un ambiente indifferente ai riti religiosi e non frequenta i suoi connazionali. Preferisce i pittori fiamminghi e olandesi che dal 1623 si riuniscono in allegre brigate di mutua assistenza e di grandi sbornie. In antitesi con l’Accademia di San Luca, gli associati alla Bentvueghels (uccelli di stormo) non pagano l’obolo annuale, ma organizzano feste memorabili in onore dei nuovi membri. Valentin viene affiliato nel 1624 con il nome di Amador. È scapolo e senza concubina. Forse ama una bellezza diversa? Oppure è innamorato della pittura, una droga per l’artista e un veleno per chiunque avrebbe dovuto vivergli accanto?

Non potendo interrogare il suo volto (nessun ritratto è giunto fino a noi) guardiamo quelli dei suoi personaggi. Sono figure malinconiche come il Suonatore di liuto del Metropolitan o il Sansone di Cleveland (1631). Le sue taverne sono luoghi silenziosi, i concerti sono frequentati da cavalieri tristi e da soldati rassegnati. I fanciulli, sempre imbronciati, hanno occhi sognanti o sguardi assorti, ben diversi da quelli astuti e lampeggianti degli scugnizzi del Caravaggio. Anche gli anziani barbuti sembrano filosofi in meditazione, piuttosto che vecchi imbambolati. Cantore di un mondo al bivio tra finzione e verità, l’artista è l’interprete raffinato di una bohéme letteraria. Oggetto della sua ricerca non sono le azioni, ma i pensieri; non più la realtà còlta nel suo drammatico divenire, ma quella in essere delle intenzioni e dei sentimenti. Valentin va oltre Caravaggio, ne esalta l’aspetto lirico e sfuma quello tragico.

Considerato tra i più talentuosi successori del Merisi, ottiene nel 1629 – grazie al cardinale Francesco Barberini suo protettore - la prestigiosa commissione del Martirio dei Santi Processo e Martiniano per un altare di San Pietro, ma il successo non cambia la sua natura introversa, né il suo vivere ai margini. Una notte dell’agosto 1632 l’artista sta rincasando un po’ brillo e appesantito dall’ennesima bisboccia; ha caldo e barcollando cerca refrigerio nella fontana del Babbuino. Scivola, cade nell’acqua gelata e muore di congestione. Non lascia neppure i soldi per il funerale e alla sua sepoltura in Santa Maria del Popolo provvede il cavalier Cassiano dal Pozzo. A poche settimane dalla morte non si trovano più suoi dipinti sul mercato e quei pochi rimasti quadruplicano il valore. Da allora la leggenda dell’Innamorato, intimo di cardinali e bassifondi, si alimenta di paradossi, tra miseria e nobiltà.

© Riproduzione riservata