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Harwa aspetta la resurrezione

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BELLA SCOPERTA

Harwa aspetta la resurrezione

Resurrezione: una seconda vita in terra dopo la morte. In Egitto se ne parlava già sette secoli prima della nostra era. Ne parlò nella propria tomba Harwa, alto funzionario egiziano della XXV dinastia che governò forse tutto l’Egitto meridionale, celebrato a Tebe a pochi passi dal tempio della regina Hatshepsut. Nei rilievi e nelle iscrizioni sulle pareti Harwa non racconta la propria vita ultraterrena, come finora creduto, bensì il suo ritorno tra i mortali. Dunque l’immagine monolitica di un Egitto antico teso a celebrare l’aldilà, che giunse a costruire “case in pietra” enormi e singolari – le piramidi - per assicurare al defunto vita duratura nell’oltretomba, comincia a incrinarsi. È questo il risultato sorprendente di venti anni di ricerche su Harwa condotte dall’egittologo Francesco Tiradritti e dalla sua équipe: quasi un regalo di compleanno giunto al termine di un lungo e lento cammino.

La tomba di Harwa è enorme: con i suoi quattromila metri quadrati di estensione, è una delle più grandi mai realizzate in Egitto per un privato cittadino. Si è dovuto scavare fino al 2002 per svuotare tutti i suoi ambienti sotterranei. E per scoprire che la stanza più profonda, da sempre ritenuta la stanza del sarcofago di Harwa, in realtà non conteneva nessun sarcofago e nessun corpo. I frammenti di pietra recuperati si univano a formare un naos, una cella all’interno della quale si poneva generalmente una statua. Nel 2002 si capì insomma che quella costruzione enorme era stata realizzata per custodire non il corpo ma il simulacro di Harwa. Non era una tomba ma un cenotafio.

Nel frattempo, però, si era già cominciato a restaurare e studiare i rilievi e le iscrizioni che decorano pareti e pilastri delle due sale ipostile precedenti la camera del naos. Sulla parete sud della prima sala si ripercorre la vita terrena di Harwa, con lui che invecchia progressivamente fino a diventare anziano. Poi, nel passaggio tra la prima e la seconda sala, in un’allegoria della morte, il dio Anubi afferra Harwa per mano e lo conduce all’oltretomba. Lui ha paura, tiene la mano aperta nell’estremo tentativo di sfuggire alla presa di Anubi e al proprio destino. È questa l’ultima parete toccata dalla luce del sole. Dalla seconda sala ipostila, regna solo il buio.

Qui il rituale dell’apertura della bocca, che generalmente in Egitto serviva a portare il defunto a nuova vita, nel caso di Harwa ha invece la funzione di separare il corpo dall’anima. Tiradritti lo ha scoperto quando, a partire dal 2009, ha intrapreso lo studio dei rilievi del lato nord del cenotafio. Ha capito che in realtà solo il corpo di Harwa – o meglio, la statua del corpo – scende ancor più nelle viscere della terra, e termina il suo cammino nella cella. L’anima invece comincia il viaggio a ritroso lungo il lato nord, al seguito di Anubi: divenuto impalpabile e perduti oramai i segni della vecchiaia, ora Harwa è raffigurato come un giovane nel pieno del suo vigore che, a poco a poco, acquista un nuovo corpo eterno. Compie un viaggio nei cieli, al termine del quale risorge definitivamente a nuova vita.

Sembra un viaggio iniziatico, quello raffigurato nella tomba di Harwa, e Tiradritti rileva precise similitudini tra i testi della parete nord e l’iniziazione di Lucio nel romanzo L’Asino d’oro dello scrittore-filosofo-mago Apuleio di Madaura (125-170 d.C.). Iniziazione, non a caso, al culto della dea egizia Iside. Sia Harwa che Lucio, infatti, compiono un viaggio che li porta a conoscere l’indicibile e accedere così a una nuova esistenza: per Harwa questa è reale, per Lucio è ideale, ma il senso pare il medesimo.

Quando ha preso piede l’idea di resurrezione nell’Egitto antico? È innovazione dell’età di Harwa? Un’età finora considerata “buia” ma che, anche grazie alla delicatezza e vitalità dei rilievi di questa tomba, si rivela sempre più come un vero “rinascimento”. Dunque è possibile che abbia anche partorito idee nuove. Oppure l’idea si è fatta strada prima? E quando? Quale evoluzione concettuale ha portato gli egiziani dal costruire enormi piramidi di incorruttibile pietra per continuare a vivere nell’aldilà, al concepire un’anima impalpabile che sa abbandonare il proprio corpo e rinascere poi a nuova vita? Se ne discuterà forse per anni e anni a venire. Ma forse un indizio già c’è, come rivela Tiradritti, ed è proprio nel famoso Libro dei Morti egiziano, una raccolta di composizioni elaborate a partire dal Nuovo Regno: il suo titolo reale è Libro per uscire al Giorno.

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