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Il proprio Guangxi al servizio di tutti

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A COLLOQUIO CON GEORGE WONG

Il proprio Guangxi al servizio di tutti

Il Parkview Green, museo che George Wong (a destra)  ha inaugurato nel 2010  nel Business District di Pechino
Il Parkview Green, museo che George Wong (a destra) ha inaugurato nel 2010 nel Business District di Pechino

Sull’onda lunga del Chinese Dream inaugurato dal presidente Xi Jinping nel 2013, si stanno diffondendo in Cina nuove pratiche di mecenatismo e di filantropia. A partire da quell’anno di svolta, i magnati del Paese sono tornati a interpretare con un nuovo sguardo un antico tratto della loro cultura: la cura del proprio Guangxi, ossia quella miscela di relazioni, attività e ideali capace di conferire prestigio e valore al singolo individuo. E per costruire il Guangxi dei nostri tempi, collezionare arte contemporanea si sta rivelando un’attività piacevole, vantaggiosa e strategica, come possiamo constatare nel percorso evolutivo di alcuni billionaire particolarmente attenti, lungimiranti e creativi.

È il caso di George Wong, leader del mercato immobiliare asiatico. Originario di Taiwan, si è formato nel Regno Unito e oggi è considerato uno dei costruttori-collezionisti più visionari, attivo tra Pechino, Hong Kong e Singapore. Cominciamo dalle sue origini: «Ho iniziato a collezionare opere d’arte all’inizio degli anni Novanta - dice - ma la passione per il collezionismo l’ho sempre avuta, viene dalla buona, o pessima abitudine di non riuscire a separarsi dalle cose. Sin da piccolo collezionavo francobolli, dischi musicali, negli anni 60 sono stato quello che si definiva un “angry youth”, amavo l’heavy metal e compravo tutti i loro dischi».

Il giovane Wong appare come il tipico collezionista onnivoro, potenzialmente interessato a tutto, che fonda le sue scelte essenzialmente sul godimento personale e sul piacere di vivere; colleziona arte cinese dell’epoca Ming e Qing; capolavori dell’arte europea da Picasso a Francis Bacon (sua la meravigliosa Testa, che si è aggiudicata all’asta per 3 milioni di dollari), ma anche statue di Buddha e bronzi antichi, vini rossi pregiati, sigari, whisky e persino Maotai, il liquore preferito dagli imperatori della Dinastia Han.

Per Wong l’avvicinamento all’arte avviene grazie al padre, la cui attività costituisce l’origine primaria di ogni ricchezza della famiglia: «L’influenza di mio padre è stata per me molto importante, quando ero ragazzo è venuto in Inghilterra a trovarmi e mi ha portato a comprare dei quadri. Anni dopo, mi sono concentrato sui dipinti europei e ho cominciato comprando Picasso».

Quando poi all’inizio degli anni Novanta gli artisti cinesi si insediano nel 798 Art District di Pechino e al Moganshan di Shanghai, determinando il balzo dell’arte cinese contemporanea sulla scena internazionale, Wong comincia subito a collezionare i loro ambitissimi dipinti: «All’inizio ho raccolto i lavori di Wang Guangyi, Qiu Minjun, Zhang Xiaogang, quelli che venivano definiti “i magnifici 4 del settore”; soltanto comprando queste opere potevi entrare a contatto con l’arte contemporanea cinese, ed essere considerato un vero collezionista». A quel punto Wong si appresta ad affinare il suo profilo di collezionista universale sull’esempio del grande mecenatismo anglosassone, elaborando una strategia caratterizzata da tre aspetti: capacità di visione, internazionalizzazione e adesione ad alcune tematiche sociali globali. Con gli artisti che frequenta, Wong gioca il doppio ruolo di committente e di mentore, condivide i loro pensieri sull’arte e interviene attivamente anche nella fase progettuale delle opere. Racconta che un architetto aveva progettato un bellissimo fronte a mare per il suo nuovo grattacielo: «Ma dal mare, chi l’avrebbe mai visto? Così, gli ho semplicemente suggerito di capovolgerlo, per far godere tutti di quella bella forma». L’architettura, per Wong, è inseparabile dalle arti visive: la scultura e la pittura, a suo dire, devono poter stare in mezzo alle persone e scivolare nel loro immaginario in modo impercettibile, quasi subliminale. Realizzando un perfetto connubio tra pulsione consumistica e godimento estetico, Wong inaugura nel 2010 il Parkview Green, un prisma ad alta sostenibilità ambientale costruito in vetro, acciaio ed ETFE, dall’architetto Winston Shu nel cuore del Business District di Pechino. L’edificio ospita un centro commerciale e all’ultimo piano, al vertice del prisma, il Parkview Green Museum, un museo privato in cui sono esposte le opere della strepitosa collezione Wong, che raccoglie anche opere dell’arte italiana, da Mario Schifano a Gianni Dessì.

Passeggiando nella piccola giungla tropicale all’ingresso del museo, Wong confida di essere combattuto tra il desiderio di condividere la bellezza con gli altri e la consapevolezza della distanza che talvolta egli stesso percepisce tra l’arte contemporanea e la gente comune. Un gap che la Cina sta cercando di colmare, ad esempio, con l’aumento vertiginoso della mobilità universitaria intercontinentale (si pensi alla presenza crescente di studenti cinesi nelle Accademie di Belle Arti italiane). Le nuove generazioni, che solo in questi anni hanno scoperto il piacere e la libertà dell’immaginario individuale, stanno infatti cercando nuove chiavi di accesso per la comprensione del patrimonio artistico occidentale. E l’attività di Wong, in questo, agisce come un importante anello di congiunzione soprattutto quando, in linea con il mecenatismo anglosassone più avanzato, decide di restituire una parte dei propri guadagni alla collettività attraverso progetti di rilevanza sociale. La sua appartenenza all’Umanesimo Buddhista lo porta a sostenere On Sharks and Humanity, un progetto avviato con il Principato di Monaco per la salvaguardia degli squali (decimati in Oriente per via delle pinne, uno dei cibi più desiderati da queste parti). Come un segnale inconfondibile di bellezza e fragilità, nella hall del Parkview Green troviamo la scultura di Zheng Lu, The Butterfly in love with a Flower, che rappresenta un’enorme pinna di squalo ottenuta con una trama d’acciaio “a bolla”.

La creatività al servizio del mondo prossimo venturo? «L’arte, che io intendo come social-Sculpture, può risvegliare e riattivare la coscienza dell’osservatore colto, del grande pubblico e delle nuove generazioni, risponde Wong, con un serafico sorriso».

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