Cultura

L’incanto di gladioli e melette rosse

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MAURIZIO MAGGIANI

L’incanto di gladioli e melette rosse

Il nuovo libro di Maurizio Maggiani è una raccolta di favole, tanto accorate e delicate quanto pungenti ed epigrammatiche. La zecca e la rosa, sottotitolo Vivario di un naturalista domestico, si inserisce nel genere millenario dei bestiari, degli erbari e degli apologhi, da Esopo e Fedro a Leon Battista Alberti e Leonardo da Vinci, La Fontaine, Italo Svevo e Carlo Emilio Gadda, Arturo Loria e Toti Scialoja. Oltre centoventi testi tutti di una pagina, anticipati sulle pagine del «Fatto quotidiano» e del Domenicale del «Sole 24 ore», disposti in ordine alfabetico (da abete natalizio a zecca) e illustrati da bellissime tavole a colori di Gianluca Folì.

Maggiani racconta l’universo della natura con precisione e affetto, fornendo una quantità di dati preziosi, frutto di una osservazione galileiana della realtà. Ci familiarizza con la meraviglia giornaliera e stagionale delle creature vegetali e animali, degli albicocchi in fiore e delle melette rosse, dei gladioli e dei petali di glicine, di aringhe e volpi, di fagiani e rane, di ladri di ciliegie e omini nudi. Ogni voce è a un tempo espressione di stupore e denuncia della colpevole disattenzione umana, di una sostanziale incapacità di vivere e di coniugarsi con il mondo circostante, di stimare le cose belle della vita, quelle che capitano ogni giorno e che noi non cogliamo pensando ad altro. Maggiani esorta a concentrarci, a non farci sopraffare dalla distrazione e dalla fretta, come accade per esempio con il miracolo della brina invernale, quando presi dal fastidio e dal bisogno di fare presto la grattiamo con frenesia dai vetri delle macchine. «Vi fermereste un momento a contemplare la brina sul vostro parabrezza? Siate sinceri. Anche solo un minuto, lì a darle un’occhiata per benino. Cambiereste idea intorno alla vostra giornata che è lì a venire»: perché la brina è «un sorprendente, splendente cristallo, uno strepitoso lavoro di decoro molecolare». L’invito a darsi tempo e a considerare i prodigi naturali si chiude con un tagliente epigramma: «Andate a lavorare, merda, lo so, ma prendetevi il lusso di un attimo con la paletta in mano, sospesi, prima di darci sotto a scrostare via l’unica buona notizia che uscendo di casa vi potevate aspettare».

Nella migliore tradizione esopica il libro di Maggiani è un testo sociale, nel quale il confronto con la natura è sempre anche il modo per parlare degli uomini e delle loro relazioni. Come il rito triste e crudele che accompagna la morte degli alberi di natale, che dal primato delle luci del periodo festivo passano a un rapido e crudele destino di sofferenze e sterminio. Per questo Maggiani in modo letterale e insieme sarcastico sulla scia di Swift propone una «campagna a favore dell’eutanasia, per la buona morte» degli abeti natalizi che negli «stanchi giorni di dopo Natale sono lì che aspettano di morire, almeno di morire e farla finita con quella che nessuno può in coscienza chiamare vita da valer la pena di essere vissuta».

La natura ci accosta con spettacoli che sorprendono pure quando sembrano triti luoghi comuni, come il vento che soffia tra le spighe dei campi di grano: «ti sei conformato nell’idea che si tratta di paccottiglia, immaginetta da quattro soldi, falso in atti di pretura» e «invece ora sono qui, e cammino in questa sera di solstizio per una stradella ai bordi di un campo di grano» dal quale sorge un canto «così vero e così struggente, così chiaro e misterioso, così terrigno e così divino, che non sai proprio, non sai proprio che altro pensare se non di essere lì, ad ascoltare senza disturbare». L’ammirazione della natura resiste agli echi di decine di poeti, «poetastri» e «parolieri di canzonette»; e soprattutto è un’opportunità imperdibile di fronte alle trituranti metamorfosi della società industriale di massa, quando «tra qualche mese tutto questo sarà qualche tonnellata di orribili grissini carichi di grasso idrogenato che ti mettono lì al ristorante per dare ai camerieri la possibilità di prendersela comoda».

Da «malpensante» leopardiano Maggiani non perde occasione di sferzare uomini e società e nello stesso tempo di additare gli incanti quotidiani che non apprezziamo e ci lasciamo scappare; i quali, oltre tutto, in una civiltà drogata di consumismo quale la nostra si offrono con il candore della gratuità. Come le foglie morte che popolano le strade autunnali, che calpestiamo svagati, spesso anche con piacere, ma senza renderci conto della loro «irraggiungibile, ultraumana bellezza».

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