
Quest’anno il nostro melograno ci ha dato cinque frutti. Dico che ce li ha dati perché poteva anche tenerseli, ’sti melograni sono una palla al piede, fonte di deprimevoli questionamenti senza fine; che poi una fine ce l’hanno quando ormai saremo sotto Natale e bisognerà pur cacciarli via prima che prendano a fermentare.
Secondo me il problema è generato dalla numerazione del prodotto, ovverossia che se i melograni fossero innumerevoli, al pari di ogni altro oggetto innumerevole assumerebbero un significato trascurabile, invece quest’anno sono cinque, l’anno scorso erano quattro, l’anno prima, annata eccezionalmente feconda, errano nove. E ogni volta li prendiamo e li mettiamo sul tavolo di cucina, tutta quanta la famiglia che se li rigira uno per uno tra le mani, e ce li passiamo, e ce li lucidiamo sulla felpa per rimirarli alla tenera luce solstiziale nello splendore della loro vivida natura di materia dal cielo in ter venuta a miracol mostrare. E tutti quanti a dire, perché è la pura verità, ma come sono belli i nostri melograni, e meravigliosi, e segreti.
Anche i nipoti, che però querelano che se dopo potessero mangiarsene magari non tutti quanti ma anche solo uno o due. Ma come si fa a consegnare agli intestini quelle perle rosso carminio, rosso martirio, rosso madonna con bambino. Anche solo a spaccarne uno dei cinque in due, quel gesto definitivo come di un profeta che intrepido apre alla verità la pura bellezza della visione, ci pare indebito, forse sacrilego. In verità, fossero diecimila li porteremmo all’ammasso e così sia.
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