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Canto di caduca foglia

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Canto di caduca foglia

Ulmus. Litografia da un manuale  di botanica tedesco  stampato nel 1897
Ulmus. Litografia da un manuale di botanica tedesco stampato nel 1897

È scivolata giù dal bordo dei fossi lievitando come pasta di pandolce che s’arriccia sbrombolando dalla madia, è montata su furbescamente senza dare nell’occhio, e quando m’ha preso alla gola ormai ero bello che fritto, c’ero dentro fin sopra i capelli, incamerato, imbozzolato, rapito nella nebbia; idiota che sono, a un paso da casa, forse a un metro preciso, vallo a sapere, ormai è così spessa che potrei appoggiarmici contro.

Il cancello deve essere di qua, o di là, o di su o invece di giù, non riesco a sentire nemmeno l’odore di casa, provo a mandare un gridolino, casomai mi ritornasse indietro potrei orientarmi come fanno i sommergibili, tutto quello che me ne ritorna è una boccata di fumo, oltretutto ’sta nebbia sa di poco, decido per la via tattile, e faccio un passo verso l’ignoto.

Crick, scrick, trick. Sale dal fondo dei scarponcini il garbato canto di una caduca foglia di olmo. Oh, ora so dove sono, a tre passi dal cancello, a uno dall’olmo minore, il nostro paziente numero zero. Sono due generazioni che non se ne sa di un olmo in vita in tutta la regione, e lui lo è. Non ci avviciniamo, non lo tocchiamo, evitiamo di parlarne per non infettarlo anche solo col pensiero, lo guardiamo il meno che si può, proprio qualche volta di domenica; dalla scuola agraria ci giungono richieste d’ispezione, dall’università si son mossi i baroni, perché lui vive e lui solo?

Crick, scrick, trick, avrà sì e no cent’anni e le sue foglie cantano ancora con voci di bambine. Le bambine che adesso mi portano a casa.

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