Cultura

Conflitto generazionale con uxoricidio

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jakob wassermann (1873-1934)

Conflitto generazionale con uxoricidio

Il 29 gennaio 1961 la Rai mandò in onda la prima delle quattro puntate del Caso Maurizius, regia di Anton Giulio Majano con un cast di prim’ordine, da Alberto Lupo a Raul Grassilli, da Alida Valli a Virna Lisa, impegnati in una recitazione teatrale intensa, enfatizzata da lunghi, sofferti primi piani, una tecnica credo oggi perduta. Erano i tempi in cui la tv poteva dirsi un sostituto alla buona lettura, anche se non so quanto l’operazione avesse generato un interesse per l’opera letteraria che l’aveva ispirato. Si tratta di un romanzo poderoso nello sviluppo e nelle intenzioni dell’autore, che qui affronta la tematica della giustizia, ma anche quella della formazione di un adolescente in un confronto serrato con la figura paterna. Fu pubblicato nel 1928, opera di Jakob Wassermann, bavarese legato alla cultura austriaca del suo tempo e attratto dai temi psicanalitici, quelli che percorrono l’opera di Schnitzler per esempio , di cui Wassermann fu amico e estimatore; nelle pagine del romanzo trapela anche l’interesse a quell’analisi dell’anima umana, che costituisce l’asse portante della narrazione di Dostoevskij, altro autore che Wassermann esplorò con grande attenzione.

Oggi possiamo rileggere, o leggere, il romanzo in questione, edito da Fazi, come qualcosa che venga da molto lontano, segnato da uno stile sviluppato in larghezza e profondità, uno stile desueto, perso ormai e barattato con la finzione sempre più diffusa del parlato, con una sorta di ansia dell’azione. Alle nostre orecchie viene davvero da lontano, ma basta farci un po’ d’abitudine per scoprire che non è così difficile e tanto meno superfluo. Del resto la materia del romanzo si dipana intorno a un nodo complesso, il dubbio che, da una parte, tormenta un adolescente alla ricerca della verità, e l’adolescenza non transige!; dall’altra quello stesso dubbio si insinua nelle certezze di un autorevole uomo maturo, non certo abituato a tornare sui propri passi.

A monte di tutto la vicenda di un intellettuale dalla fisionomia incerta, Leonhart Maurizius, condannato diciannove anni prima per uxoricidio: le prove della sua colpevolezza erano schiaccianti, esposte con maestria dal procuratore Andergast, che aveva convinto i giurati, mentre l’imputato non aveva, e non avrebbe mai, nemmeno in carcere, smesso di dichiararsi innocente. Un caso, un giallo incentrato sulla ricerca del vero assassino sfuggito a una giustizia troppo compiaciuta della propria abilità investigativa e dialettica? In realtà molto di più, perché qui si gioca il confronto tra due generazioni, si declina il conflitto tra padri e figli in un contesto di rigore autoritario, che rende il contrasto strisciante prima, per poi tradurlo in esplicita ribellione, giustificata dall’intento di conoscere la verità. Più che i fatti, sono le spiegazioni o la ricerca di spiegazione dei fatti a riempire pagine tese sul filo di un difficile equilibrio psicologico. Attraverso i dialoghi e i percorsi della memoria raccontati con puntualità ossessiva si mettono in luce le personalità del romanzo: un esempio è il dialogo centrale tra Maurizius e il suo accusatore, che conduce a un punto di svolta dentro la vicenda, mentre la ricerca febbrile del giovane Etzel Andergast, in opposizione alle certezze del padre, segna il confine tra autoritarismo e libertà.

Difficile, leggendo il romanzo, sfuggire alla sensazione che certe pagine di Dostoevskij siano state nella memoria di Wassermann, più della stringata prosa del suo amico e collega Schnitzler. È invece nell’ultima parte del romanzo, dove l’autore raccoglie i fili di una complessa matassa, che una sorta di urgenza spinge la narrazione verso un baratro: lo stile diventa scarno, l’uso del tempo presente rimarca il passo accelerato di un esito dai contorni scuri, chiusi più del carcere che ha imprigionato Maurizius. Sconcertante nelle pagine finali quanto tale accelerazione si risolva nell’interazione violenta di corpo e mente, qualcosa su cui Schnitzler era stato indiscusso maestro.

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