Cultura

Sulle tombe dei 12 apostoli

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pellegrinaggi

Sulle tombe dei 12 apostoli

Tom Bissell collabora a «Harper’s Magazine» e «The New Yorker». Apostle è il suo nono libro: un diario di viaggio che aspira a cogliere un senso universale in un’esperienza di profonda, intima individualità. Bissell fu allevato in una famiglia cattolica e si descrive come un entusiastico chierichetto fino all’età di sedici anni. Fino a quando, cioè, appurò che le scritture che riteneva inviolabile verità di fatto erano un complesso e precario amalgama di storie differenti, più il labile prodotto di controversie politiche e culturali che il sereno resoconto di quanto era avvenuto. A una fede più robusta della sua sarebbe bastato ripetere la tautologia che, se un testo è rimaneggiato e controverso, ciò non esclude che sia vero; per lui, la cosmica improbabilità di tale combinazione fu sufficiente per abbandonare la fede. Non, tuttavia, per abbandonare l’interesse verso il Cristianesimo, e intraprendere il viaggio che qui racconta: una visita alle tombe dei dodici apostoli

Visitare tutti i luoghi che rivendicano la presenza di reliquie degli apostoli avrebbe comportato una fatica improba, perché per ciascuno di loro molti luoghi si contendono o condividono l’onore. Quindi Bissell ha deciso che si sarebbe limitato a un solo sepolcro per apostolo, e per completare l’opera ha spaziato dalla Palestina (per Giuda Iscariota) a Roma (per Pietro, Bartolomeo, Filippo e Giacomo il Minore), dalla Grecia (per Andrea) alla Spagna (per Giacomo il Maggiore), dalla Francia (per Simone Cananeo e Taddeo) alla Turchia (per Giovanni), dall’India (per Tommaso) al Kirghizistan (per Matteo). Ma il suo pellegrinaggio non si è svolto solo nello spazio: i dubbi sull’effettiva provenienza di tibie e crani sono presto diventati, per lui, un simbolo della suprema incertezza dei fatti di cui i presunti portatori di quelle ossa avrebbero dovuto dare testimonianza.

Mi limiterò a un esempio. Nel Nuovo Testamento vengono più volte menzionati fratelli e sorelle di Gesù, quindi è legittimo pensare che Maria, pur se vergine fino al concepimento e alla nascita di Gesù, avesse in seguito avuto da Giuseppe altri figli. Due di essi, anzi (Giacomo e Giuda), ebbero ruoli prominenti nel cristianesimo ebraico. La notizia creava imbarazzo sul piano dottrinale e andava eliminata. Nel secondo secolo un’opera apocrifa intitolata il Protovangelo di Giacomo propose una soluzione tuttora dominante nella chiesa ortodossa: i fratelli di Gesù erano suoi fratellastri, nati da un precedente matrimonio di Giuseppe. La soluzione adottata in Occidente fu quella proposta da San Girolamo nel quarto secolo: la Maria madre di Gesù aveva una sorella anch’essa di nome Maria e i fratelli di Gesù erano suoi cugini. L’antico chierichetto entusiasta non poteva che rimanere perplesso davanti a un fatto scoperto a tre secoli di distanza, in base a una semplice congettura e in preoccupante sintonia con un dogma che si andava consolidando. Di chi siano i resti venerati nella Basilica dei Santi Dodici Apostoli a Roma sotto il nome di Giacomo traspare così come una metafora di un percorso tracciato nei primi secoli dell’era cristiana, che trasformò un predicatore di Galilea nella manifestazione di un dio trinitario, e la vera domanda che s’impone al proposito riguarda l’identità di Giacomo: fratello di Gesù e suo autorevole successore nel cristianesimo gerosolimitano oppure suo «minore» seguace?

Il libro ha un’epigrafe, della poetessa Anne Carson: «My religion makes no sense and does not help me therefore I pursue it». Le oltre quattrocento pagine che la seguono sono un tentativo non tanto di spiegarla (alla fine, il mistero rimane) ma di articolarla. Durante il suo pellegrinaggio, Bissell incontra persone intelligenti e rispettabili fermamente impegnate a credere affermazioni balzane, riconosce le esigenze emotive (di conforto, di rassicurazione) che stanno alla base di questa loro fede e non può non interrogarsi su che cosa, nella sua psiche, adempia alla stessa funzione. La risposta è: la letteratura, che giudica meno fragile della religione. Perché meno fragile? Perché, dice, non è vulnerabile ai fatti. Sembra una posizione strampalata, ma in fondo ha una sua ragionevolezza: sui fatti possiamo litigare, anche combattere, e talvolta finiamo per avere torto. La mitopoiesi che genera storie, invece, non è un gioco a somma zero: una storia non ne esclude altre; il calderone delle storie ha dimensioni infinite. Può essere con l’intento di ricordarcelo che Bissell ci congeda con un capitolo, sulle cinquecento miglia a piedi che ha fatto per raggiungere Santiago di Compostela, dove (chissà) riposa Giacomo il Maggiore, che è il più breve del libro. Lo è perché delle cinque settimane di marcia non parla; ne parlerà, forse, un’altra volta.

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