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Elementare! \ Ma muoiono anche gli immortali?

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Elementare! \ Ma muoiono anche gli immortali?

Seriana: Se gli dei sono immortali, come hanno fatto a morire? Adesso dicono che non esistono più...

Maia: Forse una volta ci credevano e adesso non ci credono più.

Lorenzo: Forse c’era un modo per uccidere gli dei. Per ucciderli dovevi non credere a loro. Nessuno gli credeva più e allora sono scomparsi tutti.

Tommaso: Ma per quanto tempo non devi pensare più agli dei? Se tu pensi per due secondi che non ci credi più e poi ci ricredi, vanno via lo stesso? E per quanto tempo?

Stavamo discutendo liberamente su ciò che veniva loro in mente pensando agli antichi egiziani, quando a un tratto è arrivata come un fulmine la domanda di Seriana. Per abitudine propongo sempre di sostare a lungo intorno alle domande che mi paiono più interessanti per dar loro respiro.

Da quando insegno ho sempre trascritto i dialoghi che facciamo in classe. Rileggerli e restituirli scritti penso sia il modo più semplice e diretto di dare dignità e valore alle parole di tutti. I pensieri di bambine e bambini infatti sono volatili e si perdono se non trovano ascolto, perché spesso i bambini stessi non danno valore alle loro deduzioni e argomentazioni. Eppure ci dicono tanto su come procede il loro e il nostro ragionare, in quel percorso di conoscenza fatto a tentoni, che tanto stava a cuore a Celestin Freinet.

Il grande valore della restituzione nella relazione educativa l’ho appreso nei laboratori tra adulti del Movimento di Cooperazione Educativa, nato delle esperienze di quel maestro francese che metteva l’ascolto sopra a ogni cosa. Ma c’è un altro aspetto che mi spinge a consigliare questa pratica agli insegnanti di ragazzi di ogni età, anche all’Università. Rileggendo con calma a casa il testo di una conversazione mi accorgo di tantissime cose. Ad esempio, di come in quarta elementare lo spunto di Seriana provochi la considerazione di Maia, spinga Lorenzo a elaborare un’ipotesi e Tommaso a formulare il caso limite del non credere per due secondi, domandandosi quanto tempo ci voglia per far scomparire gli dei dal nostro orizzonte.

«Pare che abbiamo bisogno di rimbalzare su un’altra persona, di avere qualcosa che rifletta indietro quello che diciamo prima che esso possa diventare comprensibile», scrive lo psicoanalista britannico Wilfred Bion, aggiungendo: «A volte abbiamo bisogno di essere presentati a noi stessi». Si parla tanto e si moltiplicano le iniziative più varie intorno a pratiche di filosofia per bambini o coi bambini, di diverso spessore e coerenza. Credo che, insieme a proporre esperimenti di philosophy for children, dovremmo organizzare nelle scuole corposi percorsi di formazione di philosophy for teachers, per rendere più consapevoli noi insegnanti di quanta ricchezza c’è nei dialoghi spontanei dei bambini e di quanto bisogno si abbia, tutti noi, di essere presentati a noi stessi.

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