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E Tristram rapì don Lisander

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Storia

E Tristram rapì don Lisander

Con illustrazioni d’autore. «L’assedio di Namur», disegnato da William Hogarth, che vede come protagonista Tristram Shandy
Con illustrazioni d’autore. «L’assedio di Namur», disegnato da William Hogarth, che vede come protagonista Tristram Shandy

La negligenza di una fantesca fu all’origine di un aneddoto, raccontato in famiglia con tale gravità da ingrandirne la rilevanza oltre ogni limite di decenza. L’irresponsabilità delle reazioni trasformò una «mosca» in un «elefante», ovvero «due gocce di sangue» in uno «spargimento» degno di una pagina epica. La vittima diede un urlo squarciato: «Cinquantamila panieri colmi di diavoli... con le code mozzate di botto dal sedere, non avrebbero potuto cacciare un urlo più diabolico». La fantesca se la diede a gambe. Scese precipitosamente in cucina, mentre la padrona accorreva in senso inverso su per le scale. Il resoconto che la cameriera fece al resto della servitù fu stringato. Ma andò di bocca in bocca, sempre più dilagando. Il padrone venne messo in allarme dalla generale agitazione. Scampanellò. E informato dell’accaduto, «me l’aspettavo» disse. Si rimboccò la palandrana, «e così salì le scale» anche lui.

Era una storiella di pitali, di contrappesi di piombo e di pulegge. Tutte cose che, fatalmente mancando all’appello, fecero di una semplice finestra una «ghigliottina»: nel momento in cui la cameriera sollevava e spingeva il padroncino di cinque anni perché spandesse il suo bisogno all’aria aperta. Fu questione di un attimo. Venne giù il pannello assassino, che rovinò sul prepuzio. Si gridò all’«omicidio». Solo il caporale Trim, servitore dello zio Toby, usò civile reticenza e ricorse al linguaggio muto dei gesti: «stendendo l’indice dritto sul tavolo e calando ad angolo retto il taglio dell’altra mano sul dito, si ingegnò a raccontare la sua storia in modo tale che preti e vergini avrebbero potuto stare a sentirlo».

Sterne fa raccontare l’episodio a Tristram, strampalato e bislacco biografo di se stesso, ne La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo: opera pubblicata in nove volumi tra il 1759 e il 1767. Tristram finse di darsi contegno. Costellò infatti il resoconto di spazi muti percorsi da asterischi di silenzio. Nello stesso tempo suggerì pensieri laterali, resi screanzati dai doppi sensi, dalle omofonie oscene, e dalle astuzie intertestuali, che sghembamente evocavano le dimensioni virili vantate in famiglia o introducevano funamboliche vagine.

Sulla finestra a ghigliottina del Tristram Shandy si fermò a riflettere Alessandro Manzoni mentre scriveva il Fermo e Lucia. Era stato preparato alla lettura di questo «libro pazzo» di un geniale e felice fantasista della digressione (come con ammirazione lo aveva definito Diderot), dalla simpatia che i fratelli Verri dimostravano per Sterne; e dall’interesse che il nonno Beccaria aveva per l’arte satirica di Hogarth, autore delle illustrazioni del romanzo e ispiratore, con la sua teoria della linea serpentinata, della figuratività e dei procedimenti obliqui del narratore. L’autoriflessività del romanzo sterniano contempla un dialogo costante con i lettori e le lettrici, ora invitati a rileggere con lentezza un capitolo «da cima a fondo», ora ad accelerare la lettura, ora a collocare una imprecazione di loro gradimento nello spazio lasciato vuoto nella pagina. E non si risparmia (cosa che a Manzoni interessava molto) quando si tratta di spiazzare, ricorrendo all’ironia o alla parodia, le «romanzesche storie d’amore». Capita più di una volta. Lo zio Toby cade «in preda all’amore». Il padre di Tristram ha «un gran bagaglio di erudizione» in fatto di teoria e prassi curativa del mal d’amore. E interviene. Racconta Tristram: «riuscì a imporre al sarto che stava confezionando un paio di calzoni per mio zio Toby di servirsi di un pezzo di tela cerata e canforata al posto della tela rigida, ottenendo su mio zio Toby l’effetto di Gordonio senza l’ombra delle bastonate». Va da sé che la canfora versata sui pantaloni affloscia, come insegnava l’Anatomy of Melancholy di Rober Burton. Della donna amata, la vedova Wadman, il romanzo non dà un ritratto. Lascia però una pagina bianca. I lettori vi potranno saettare il loro desiderio e, muniti di penna e inchiostro, potranno raffigurarsela a loro piacere («che somigli il più possibile alla vostra amante ¬– e il meno possibile a vostra moglie», è il consiglio del narratore che vuole solo «compiacere» la loro «immaginazione»): «In natura non si è mai visto nulla di così amabile! –di così raffinato! –Quindi, caro signore, come poteva mio zio Toby resistere a tanto fascino? Libro tre volte felice! fra le tue copertine avrai almeno una pagina che la MALIGNITÀ non riuscirà ad annerire e l’IGNORANZA non potrà travisare».

Più vicina all’interesse di Manzoni è «la storia di due teneri innamorati separati uno dall’altra» («ignaro ciascuno del cammino preso dall’altro»); una di quelle storie che commuovono «in tenera età» allorchè il «cervello è filamentoso, e simile più che altro a una pappetta». «Amandus » è lui; «Amanda» è lei. Tristram avrebbe voluto piangere sulla tomba degli innamorati: «–Spiriti gentili e fedeli! esclamai rivolgendomi ad Amandus e Amanda–molto–molto ho indugiato a versare questa lacrima sulla vostra tomba–arrivo–arrivo– Quando ci arrivai–non c’era nessuna tomba su cui versarla. Cosa avrei dato perché mio zio Toby fischiettasse Lillabullero!».

Fermo e Lucia stanno per separarsi, nel romanzo di Manzoni. Un lettore rimbrotta lo scrittore. Vorrebbe una scena d’amore. Manzoni si ricorda del gesto del taglio mimato da Trim. Amplifica e carica le figure che il caporale aveva eletto come destinatarie ideali del suo racconto muto, e risponde: « … ponete il caso, che questa storia venisse alle mani per esempio d’una vergine non più acerba, più saggia che avvenente … e di anguste fortune, la quale perduto già ogni pensiero di nozze, se ne va campucchiando …; ditemi un po’ che bell’accordo potrebbe fare a questa creatura una storia che le venisse a rimescolare in cuore quei sentimenti, che molto saggiamente ella vi ha sopiti. Ponete il caso che un giovane prete il quale con gravi ufficj del suo ministero, colle fatiche della carità, con la preghiera, con lo studio, attende a sdrucciolare sugli anni pericolosi che gli rimangono da trascorrere, ponendo ogni cura di non cadere... ponete il caso che questo giovane prete si ponga a leggere questa storia: giacchè non vorreste che si pubblicasse un libro che un prete non abbia da leggere: e ditemi un po’ che vantaggio gli farebbe una descrizione di quei sentimenti ch’egli debbe soffocar ben bene nel suo cuore … Concludo che l’amore è necessario a questo... mondo: ma ve n’ha quanto basta..., e non fa mestieri che altri si dia la briga di coltivarlo; e che col volerlo coltivare non si fa altro che farne nascere dove non fa bisogno».

Per Joyce, Sterne era un «tipo irlandese» che proiettava dietro di sé le ombre di Rabelais, Cervantes, Shakespeare; e soprattutto di Swift, con al seguito i membri del satirico Scriblerus Club. Finalmente esce ora in Italia una traduzione (splendida) del Tristram Shandy, sostenuta da un commento (poderoso) che mette in correlazione ogni espediente grafico (trattini di varia lunghezza, manicule, pagine bianche, nere o marmorizzate), ogni singola frase, ogni singola parola del testo, ogni singola «ombra» evocata, con la biblioteca (enormemente ampliata) dentro la quale Sterne armò il suo umorismo e mise in moto la «macchina» digressiva «e anche progressiva» del romanzo: utilizzando fra l’altro il Saggio sull’intelletto umano del «sagace Locke» come «occasione parodistica» per la messa in racconto delle stramberie di casa Shandy. Il volume, tradotto da Flavia Marenco de Steinkühl, e curato da Flavio Gregori per i “Meridiani” di Mondadori, oltre al testo di Sterne, contiene ben tre libri: un saggio-libro, che nel titolo (L’umana polifonia dello spirito più libero) riprende la chiave di lettura di una pagina critica di Nietzsche; una biografia-libro di Sterne; un commento-libro, che orienta anche nel profluvio vario delle interpretazioni ammatassatesi sul romanzo.

La vita e le opinioni di Tristram Shandy è un’opera apparentemente caotica e delirante, con quella sua costante ribellione al tempo fatta di allontanamenti e rinvii che riluttano a concludere e a chiudersi. Ed è invece governata e rigorosamente tenuta sotto controllo da «un’autoriflessività fattasi “trama”» secondo lo statuto retorico di una «narrativa della narrativa». Ha avuto buon gioco Italo Calvino nel rivendicare a Sterne il ruolo di «progenitore di tutti i romanzi d’avanguardia» del secolo scorso. È vero però che il romanzo di Sterne è meravigliosamente «sconclusionato». Il rilievo ammirato è di Pirandello. Ma si capisce. Sterne, malato cronico tenuto in apprensione dai ripetuti sbocchi di sangue, sapeva di non essere «in grado di trattare con la morte allo stesso modo in cui» poteva trattare con «il farmacista su come e dove» farsi «il suo clistere». Ingaggiò allora una partita con la morte, procrastinando di continuo gli approdi al punto fermo delle sue narrazioni. Di questa scorrettezza da baro la morte si prese la rivincita fuori del romanzo e delle sue finzioni. Quando la conclusione arrivò, la salma di Sterne fu trafugata dal cimitero di St. George. Venne portata a Cambridge. Servì per una lezione di anatomia, prima di essere riconosciuta e riseppellita a Paddington (Londra).

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