Cultura

L’Italia cresce con l’Art Bonus

  • Abbonati
  • Accedi
Libri

L’Italia cresce con l’Art Bonus

Nel febbraio 2012, questo giornale lanciava il suo Manifesto per la cultura e invitava il nostro Paese a riflettere su cinque temi fondamentali: la necessità di dare vita a una costituente per la cultura che raccogliesse le migliori energie su scala nazionale per creare le condizioni per un salto di qualità nelle strategie di sviluppo a base culturale; l’importanza di pensare allo sviluppo culturale in un’ottica di lungo periodo che privilegiasse gli impatti sistemici rispetto agli effetti transitori, invitando implicitamente tutti gli operatori, comprese le pubbliche amministrazioni, ad un cambio decisivo di mentalità; la necessità di una cooperazione tra i vari ministeri chiave, per commettere la cultura alle logiche dello sviluppo economico e industriale, ad una nuova concezione del welfare, alle strategie di innovazione, alla sostenibilità sociale e al presidio del territorio, per limitarci ad alcuni esempi; l’importanza di un rilancio della formazione in campo artistico e scientifico nel nostro sistema scolastico; e infine la necessità di promuovere il merito e di premiare sia il dialogo virtuoso tra pubblico e privato che la disponibilità a sostenere i settore culturali attraverso adeguati sgravi fiscali.

È passato del tempo, e qualche risultato significativo si è prodotto. Il tema delle industrie culturali e creative, su cui il nostro Paese scontava un preoccupante ritardo strategico rispetto ai maggiori paesi europei, sta finalmente entrando nel dibattito della politica economica ed inizia ad essere supportato da specifiche azioni, tra le quali quelle previste nel PON relativo alle regioni del Mezzogiorno e il Fondo di Progettualità Culturale. L’Art Bonus sta dando risultati apprezzabili e duraturi, e il suo ambito di applicazione potrebbe forse essere esteso. La competizione per la Capitale Europea della Cultura 2019 ha prodotto un grande sforzo progettuale su scala nazionale e ha creato le condizioni per il lancio del programma della Capitale Italiana della Cultura che, malgrado la limitatezza dell’orizzonte temporale di pianificazione e delle risorse finanziarie disponibili, sta dando nel complesso risultati incoraggianti. Nello scenario del dopo Brexit, la geografia della produzione creativa europea apre nuove opportunità per l’Europa continentale, e Milano sta rapidamente recuperando il ruolo di polo culturale di dimensione europea, recuperando le posizioni perdute nel recente passato e proponendosi come uno dei più interessanti laboratori europei sul rapporto tra cultura e trasformazione urbana. Torino, nel mentre, si conferma una delle città più vivaci nella sperimentazione culturale. In tutto il territorio italiano assistiamo poi ad una fioritura di progetti di innovazione sociale dal basso a base culturale, che posizionano l’Italia come una delle realtà di spicco a livello mondiale, anche grazie al ruolo di iniziative-piattaforma quali Che Fare e Culturability, che hanno reso possibile una mappatura di sistema e hanno favorito la reciproca conoscenza e l’emergere di una nuova consapevolezza, anche generazionale, sul potenziale culturale inespresso del nostro Paese.

Ci sono dunque innegabili progressi, ma non ci sono ancora abbastanza ragioni per coltivare un ragionevole ottimismo. I problemi sono ancora tanti, e se non verranno risolti c’è il rischio concreto che molto di ciò che di buono si è fatto finisca per disperdersi nel tempo. La nota più dolente è forse quella della carenza di cultura progettuale in ambito culturale (e non solo) di molte, troppe amministrazioni locali. Nel nostro Paese si riscontra una preoccupante coazione delle amministrazioni ad anteporre le ragioni della comunicazione e della gestione quotidiana del consenso a quelle della progettazione e delle inevitabili, difficili scelte politiche che una qualunque strategia di sviluppo che si proponga di incidere sullo status quo inevitabilmente comporta. Si continua a concentrare l’attenzione sulle logiche ormai consunte dei grandi eventi e delle mostre blockbuster senza capire che in assenza di un lavoro serio, continuativo e profondo sulla partecipazione culturale dei residenti nessun modello di sviluppo culturale potrà mai attecchire e produrre effetti duraturi. Si è ancora lontani da un uso pienamente efficace dei fondi di coesione, soprattutto al sud, e ci sono ancora molti margini di miglioramento in termini di competitività nei programmi europei. Si continua a ragionare per formule (come quella dei distretti culturali) delle quali non si ha spesso il tempo o la pazienza di comprendere le restrittive ed impegnative condizioni di applicabilità. In altre parole, continua a prevalere in molte amministrazioni una sensibilità e una cultura progettuale molto distante da quella dinamica, innovativa e ben connessa alle migliori esperienze internazionali che caratterizza una parte significativa dell’innovazione culturale dal basso a cui abbiamo accennato sopra. Sul tema dell’istruzione artistica e scientifica, infine, l’auspicato salto di qualità non si è ancora verificato.

C’è dunque ancora moltissimo da fare, e il nuovo ciclo di rinnovamento progettuale che sta partendo da Milano può ispirare altre città a ridare slancio e ambizione alle proprie strategie culturali. Ma forse la vera priorità, in un sistema paese che mantiene ancora un preoccupante record negativo di giovani laureati e un record ancora più preoccupante di incapacità di offrire loro percorsi occupazionali e professionali all’altezza dei migliori standard europei, è quella di un’azione coordinata di sistema che crei le condizioni per un sostanziale rafforzamento delle giovani imprese culturali e creative, e più in generale dell’innovazione sociale a base culturale. Le nuove generazioni hanno già dimostrato sul campo di non temere confronti con le più avanzate realtà internazionali, ma se verranno lasciate sole in territori nei quali rappresentano spesso una delle poche, vere ragioni di dinamismo innovativo finiranno inevitabilmente per logorarsi in una lotta quotidiana per la sopravvivenza quando dovrebbero invece disporre delle risorse necessarie per un decisivo salto di qualità e per dare inizio a un nuovo ciclo di crescita. Malgrado poche, significative eccezioni (tra le quali non si può non menzionare il lavoro importantissimo svolto in questo ambito negli ultimi anni da Fondazione Cariplo), il mondo delle fondazioni di origine bancaria non si è finora rivelato abbastanza sensibile verso questa scena emergente, e questo rischia di essere un errore strategico importante in una fase nella quale, come è noto, le risorse pubbliche disponibili per queste finalità si sono significativamente ridotte e difficilmente torneranno ad aumentare nel prossimo futuro.

Se una nuova fase di innovazione culturale diffusa emergerà nel nostro Paese, sarà questo il contesto a cui guardare. Per capirlo, e per apprezzarne il potenziale, bisogna pensare in un’ottica di lungo termine, come ci invitava a fare il Manifesto. Non fermiamoci adesso. È ancora possibile fare in modo che l’Italia torni ad essere un Paese (anche) per giovani.

© Riproduzione riservata