Cultura

Un canone scritto male

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STORIA DELLA LETTERATURA RUSSA

Un canone scritto male

Anna Karenina, il film del 1948 di Julien Duvivier con Vivien Leigh
Anna Karenina, il film del 1948 di Julien Duvivier con Vivien Leigh

Dopo le Grandi Riforme dell’università susseguitesi nel nuovo secolo, studenti e docenti sono ormai ostaggi dei “cuf” : i Cfu, Crediti Formativi. Nel corso di un anno accademico chi studia lingua e letteratura russa, per esempio (mi si perdonerà se parlo della materia che più conosco), deve dividere i 15 Cfu obbligatori - 375 ore «di impegno»- tra corsi monografici, istituzionali, esercitazioni: per «lo studio a casa» restano a malapena duecento ore. I nuovi ordinamenti ammettono una certa elasticità, è vero, ma entro certi limiti. A giovani che normalmente escono dai licei con idee ancora incerte, o senza alcuna idea, sulla Russia e la sua cultura, vengono impartite indulgenti direttive: «Nel secondo anno di corso è obbligatoria la lettura di Anna Karenina o Guerra e Pace, di Delitto e castigo o L’Idiota o I Fratelli Karamazov …»; fatta eccezione per gli studenti più solerti e appassionati, le scelte sono inevitabilmente guidate da criteri quantitativi - dal numero di pagine. Le storie letterarie verso cui negli anni Novanta Mengaldo alzò il suo veemente “contro” tornano così a essere strumenti indispensabili - per orientarsi in un panorama sconosciuto, per sapere, almeno di seconda mano, chi erano il principe Kutuzov o lo starec Zosima… Conviene dunque interrogarsi ancora una volta su cosa si può e si deve pretendere da manuali, compendi, storie.

Me ne offre l’occasione il secondo volume (Dalla rivoluzione d’Ottobre a oggi) della Storia della letteratura russa di Guido Carpi, professore all’ateneo di Pisa. Frutto di una vasta ricerca di cui dà ragione la bibliografia finale, il volume ha il sicuro merito di arrivare fino alle vicende culturali della Russia di oggi, riproponendo idee e posizioni della più qualificata critica letteraria russa contemporanea, informando dettagliatamente sul contesto storico in cui nacquero opere entrate di diritto nel canone novecentesco. È invece difficile annoverare tra i pregi del libro la scrittura, spigliata fino all’eccesso. Viva l’antiaccademismo, certo, ma disturbano i molti prestiti dal linguaggio del giornalismo routinier o da un certo dubbio parlato - i «senza se e senza ma», default, light ( «una patina di skaz leskoviano light»), soft («sul versante biomeccanico soft»), «nocciolo duro», «a botta calda», «onda lunga», «tormentone», mood, «farlocco», «serioso», mainstream (termine, quest’ ultimo, che si ripete con molesta frequenza), «lirico di riferimento», «a giro di decennio», «immaginario collettivo» ecc - che costellano il libro. Sorvolerò sui misteriosi «happening dal vivo», sulle altrettanto enigmatiche «girandole di gags» del linguaggio di Erdman, «affini per dinamismo a Majakovskij ed Esenin», sull’uso di «coniugare a», «orientare a», su piccoli errori di traduzione… Ma trovo doloroso che scrittori come Mandel’štam, di cui lo stesso Carpi riconosce la grandezza (ne scrive infatti come del «più grande poeta sovietico», per quanto paradossale sia definire “sovietico” un poeta nato nel 1891, che con il regime dei Soviet ebbe un rapporto fortemente conflittuale e da quel regime venne messo al bando, esiliato, condannato al lager) vengano tradotti sciattamente. Con sviste ( il progresso «noioso come la crescita di una barba» invece del «noioso, barbuto sviluppo» che è nell’originale; a uno studioso dovrebbe essere chiaro il riferimento alla lunga barba del padre dell’evoluzionismo, Darwin), con solecismi («e io mi studio il diario…»), con un reiterato uso dell’apocope - metodo dilettantesco di “fare poesia” - nella traduzione dei versi. Due soli esempi: «le labbra umane/che niente più han da dire// serban la forma…», «udrò in eterno il frastuono di quando han singhiozzato i fiumi…». Lo stesso trattamento è riservato ai versi di Anna Achmatova ( «no, zarevič, non son come…»), di Pasternak ( «e la passione si stancò di scuoter la criniera»)… Che sia l’influsso del toscano? Comunque sia, una prima conclusione si può trarre: una buona storia della letteratura va scritta in un buon italiano.

E poi, sarà vero che «la prosa letteraria dei primi anni del Disgelo non ha dato grandi capolavori»? A me risulta che alla fine del ’60 Vasilij Grossman portò a termine Vita e destino (ma nel febbraio dell’anno successivo tutti i materiali in suo possesso furono sequestrati dal KGB), oggi riconosciuto come uno dei più grandi libri del secolo; che nel’ 62 vide la luce Una giornata di Ivan Denisovič di Solženicyn; che anche nel periodo più tiepido del Disgelo (1961-63) l’ex prigioniero politico Šalamov, il cui genio narrativo supera di gran lunga i confini della «letteratura concentrazionaria», propose invano a riviste e case editrici quelli che sarebbero diventati i Racconti di Kolyma ( iniziati nel 1954 - non «composti negli anni Sessanta» - e portati a termine nel 1973).
Conclusione seconda: una buona storia della letteratura dovrebbe, superando le legittime idiosincrasie dell’autore, dare conto anche del giudizio che su opere, autori ecc ha dato la Storia.

Astorico, per restare in tema, appare anche il modo con cui vengono usate alcune citazioni. Non tutti, non sempre tacevano in quella che Carpi definisce “civiltà letteraria staliniana”. Ma leggendo che «nel ’29, nella Quarta Prosa, Mandel’štam denuncia: “La paura animalesca batte sulle macchine da scrivere… verga delazioni, picchia chi è a terra, esige l’esecuzione dei prigionieri”», che Fedin prendeva in giro, chiamandoli «ragazzi pelati» (e non «bambini pelati»: a parte ogni considerazione logica, il russo ha mal’čiki), i «giovani rampanti» formatisi alle scuole di partito, si crea l’impressione di un’intelligencija tutto sommato ancora libera di esprimersi, arrabbiarsi, scherzare. Sarebbe il caso di avvertire, magari in nota, che queste e altre citazioni sono tratte da testi rimasti inediti per mezzo secolo e oltre.
Ultima, mesta conclusione: in certi casi un buon vecchio bignamino potrebbe forse rivelarsi più utile.

Guido Carpi, Storia della letteratura russa, II , Carocci 2016, pagg. 353,
€ 32,00

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