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Con «Sing» il talent show è d’animazione

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Con «Sing» il talent show è d’animazione

L'animazione è ancora protagonista nelle nostre sale: dopo «Oceania» e «Le stagioni di Louise», usciti appena prima di Natale, anche il nuovo anno si apre sotto il segno del cinema animato con «Sing» diretto da Garth Jennings e Christophe Lourdelet e prodotto dalla Illumination Entertainment, la casa di «Cattivissimo Me», «I Minions» e «Pets – Vita da animali».
Al centro della trama c'è il koala Buster Moon, imprenditore teatrale vicino alla bancarotta, che per salvare la propria attività pensa a una gara canora aperta a chiunque vorrà partecipare.
Strizzando l'occhio ai talent-show contemporanei, «Sing» è un film che guarda all'attualità e si concentra sul classico tema del credere in se stessi, perché tutti abbiano una possibilità di realizzarsi nella vita.
La visione è godibile e il ritmo regge fino alla fine, anche se la sceneggiatura ha diversi passaggi scontati e il messaggio conclusivo sia a dir poco elementare.
Piuttosto convenzionale anche nell'apparato visivo, il film riesce a riscattarsi grazie ad alcune gag ben riuscite e a una serie di personaggi che lasciano il segno: il maialino Gunter, in primis.
Niente di particolarmente rilevante, ma adatto per una visione leggera con tutta la famiglia in questi ultimi giorni di festa.

Molto atteso è anche «Assassin's Creed» di Justin Kurzel con Michael Fassbender.
L'attore interpreta Callum Lynch, un uomo che, tramite un potente macchinario di una misteriosa azienda, rivivrà le memorie di un suo antenato vissuto nella Spagna del XV secolo.
Tratto dalla celebre saga di videogiochi che annovera numerosissimi appassionati, il film fatica a ricreare il coinvolgimento dei prodotti da cui prende spunto e molto presto si rivela una trasposizione incolore e ridondante.
Più che sul versante estetico, le mancanze maggiori stanno in un copione macchinoso, che si attorciglia su se stesso e non riesce mai a sorprendere come dovrebbe.
Troppo statico per emozionare, il film si trascina lungo tutta la durata senza regalare quasi mai un guizzo e anche il ricco cast (oltre a Fassbender ci sono Marion Cotillard, Jeremy Irons e tanti altri) risulta totalmente sprecato.
Non fa di meglio «Collateral Beauty» di David Frankel con Will Smith.
Quest'ultimo veste i panni di un manager di successo che, dopo la morte della figlioletta in un incidente, non sembra avere più alcun interesse nella vita. I suoi migliori amici escogiteranno un curioso piano per provare ad aiutarlo.

Un film grossolano e pasticciato fin dalle prime battute, «Collateral Beauty» non riesce mai a portare avanti una riflessione degna di tale nome e si limita a trattare tematiche delicate (l'elaborazione del lutto, in particolare) con una superficialità inaccettabile.
La retorica prende spesso il sopravvento e la regia di Frankel è scolastica e insignificante. Da dimenticare.

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