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La fuga dal tempo di Hugo Ball

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La fuga dal tempo di Hugo Ball

Tra le rivolte culturali del Novecento, alcune durate lo spazio di un mattino, quella che conserva ancora aspetti degni di un sobbalzo è il Dadaismo. Forse perché nulla volle risparmiare alla distruzione o forse perché negò ogni valore alle parole e ai modelli; forse perché scavalcò con ironia il Futurismo o sbugiardò sghignazzando persino il Cubismo, indifferente com'era verso i significati. Blasfemi, irriverenti anche con se stessi, pronti a una rivolta totale, i dadaisti – nati per caso in Svizzera, a Zurigo, intorno a un caffè letterario nel 1916 – pare abbiano trovato il nome con cui chiamarsi sfogliando a caso un vocabolario. Il gruppo della prima ora vede, tra gli altri, il filosofo tedesco Hugo Ball, il poeta rumeno Tristan Tzara (fondatore per tutti i manuali), l'artista alsaziano Hans Arp.
Torna naturale parlare di loro ora che le edizioni Mimes ripropongono in italiano “Die Flucht aus der Zeit”, “Fuga dal tempo”, di Hugo Ball, opera uscita postuma nel 1927, un anno dopo la sua morte. Il libro, curato da Riccardo Caldura (Mimesis/ Abraxas, pp. 364, euro 26), è una preziosa testimonianza del Dada zurighese, un diario del fondatore del Cabaret Voltaire, il medesimo che nel 1917 riabbraccia l'idea di ordine ritornando nel seno della Chiesa. Dopo un prologo, dedicato agli anni precedenti il 1914, le pagine cominciano con l'indicazione di Berlino nel novembre di quell'anno e giungono al 29 settembre 1920. Notevole spazio è dato al 1916, l'anno di Dada, quello in cui lo stesso Ball, abbigliato come un fallo d'argento, inaugura il Cabaret o esalta Sade (22 giugno), o quando ammette: “Le esagerazioni sono state per me un toccasana” (6 ottobre).
La sua rivolta va oltre l'epoca, la guerra, il bisogno d'anarchia. Scrive il 20 ottobre 1915: “L'Ordine dell'Aquila Nera, la medaglia al valore, la croce al merito di Ia, IIa, IIIa classe, tutto questo, insieme al mio richiamo militare, questa sera, l'ho fatto scomparire nel lago di Zurigo. Sono dell'opinione che ognuno debba combattere nel posto che gli compete. Si può portare la croce di ferro anche sulla schiena. Non deve essere proprio sul petto”. Va aggiunto che in talune manifestazioni dadaiste i convenuti appesero i crocefissi alle catene dei gabinetti, cercando di praticare l'estrema irriverenza.
Ball, invece, si stancherà presto di questa rivolta radicale, nella quale non mancarono insulti per filosofi quali Rousseau o Kant, e correrà verso il misticismo bizantino. La disintegrazione e il sovvertimento lasciarono il posto ai santi esemplari Giovanni Climaco, Dionigi l'Areopagita, Simeone Stilita. Il salto pareva immenso, ma a ben leggere le pagine di questa “Fuga dal tempo” ci si accorge che è stato breve. Del resto, nel prologo Ball nota: “La fede nella materia è una fede nella morte”, una sorte di “moderna necrofilia”. Che resta cara ormai solo a qualche filosofo da salotto.

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