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Reality show, vittoria finale della tv spazzatura

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Piccolo schermo / senza qualità

Reality show, vittoria finale della tv spazzatura

Rai-trash. Simona Ventura, conduttrice dell'«Isola dei famosi» su Raidue (Ansa)
Rai-trash. Simona Ventura, conduttrice dell'«Isola dei famosi» su Raidue (Ansa)

Il 2004 televisivo si chiude con risultati che, per quanto riguardo le reti generaliste, sollecitano considerazioni di perplessità e di indignato pessimismo: se la Rai ha in media sonoramente battuto Mediaset, soprattutto nell'ambito della fiction, le punte dei successi di entrambi le emittenti si individuano (per quanto valore possono avere i dati Auditel) in programmi della cosiddetta “reality tv” nelle isole dei sedicenti famosi e nei piccoli fratelli.

Se questo è vero, si è costretti a constatare che il pubblico è molto meno maturo, formato e consapevole di chi gli offre questi piatti avvelenati, queste illusioni drogate. La reality tv, infatti, si basa su situazioni ispirate alla “realtà”, su racconti di esperienze personali, sulla trasformazione di persone comuni in protagonisti, sulla sollecitazione di emozioni e di storie di vita, sull'esibizione di talenti fuori dalla norma, sulla messa in atto di esperimenti relazionali.
Lo slogan che caratterizza questi programmi, suddivisibili in teorie diverse è : che si tratta di tre negazioni di cui non si potrebbero immaginare espressioni più false e truffaldine.

Il , per esempio, appartiene alla categoria degli “pshyco-drama game”, dove si incrociano competizione e messa in evidenza di dinamiche psicologiche. É un ibrido di “real tv” e di “reality show”. Vi si mette in gioco non tanto la competenza fisica o intellettuale, quanto, direbbe Erving Goffman, la “faccia” dei protagonisti, la loro maschera nella rappresentazione, il ruolo che viene loro assegnato dalla produzione.

É proprio questa “faccia” uno degli elementi sui quali può agire la regia occulta del programma, forzando gli attori “ad adeguarsi” alle figure-tipo previste dal format, trasformandoli in “personaggi”, sfruttando il loro desiderio di visibilità per immergerli in ruoli stereotipati. E, inoltre, si lavora sul testo, sulla sceneggiatura, sulla narrativizzazione... É insomma molto pesante l'intervento sul materiale che la “realtà” offre.

Perfino lo strumento che teoricamente dovrebbe consentire un certo tipo di partecipazione al pubblico, il televoto, può in realtà essere manipolato per adeguarne i risultati alle esigenze dello spettacolo e del progetto di strategia comunicativa.
Un programma di questo tipo apre le sue porte all'ingresso della finzione e della menzogna, alla scelta di storie esasperate, inverosimili, ha un'idea di verità ridotta al ruolo di “autenticità” (presunta) dei comportamenti, di reattività. La “reality tv” è la verità della stessa Tv, non quella del reale: è l'idea che la tv si fa della realtà.

Ma è forse ancora peggiore il caso della cosiddetta , dove alle pretese “culturali” del progetto (il riferimento a Robinson Crusoe) si aggiungono lo squallore degli “opinionisti” e, nella prima edizione, la presenza come conduttore in loco di un declinante giornalista sportivo che, attraverso la sua performance è riuscito a recuperare il coordinamento generale di tutte le Olimpiadi televisive e, poi, il ritorno trionfante di una sempre più opaca e triste: si può dire che almeno lui abbia portato fortuna.

Il successo di audience di questi nefasti programmi ha fatto sì che perfino alcuni studiosi se ne occupassero, per esempio indagando sulle loro eventuali dimensioni narrative e sul fascino che il racconto costruitovi eserciterebbe sullo spettatore. Si è fatto addirittura ricorso al grande Chris Vogler e alle dodici fasi che comporterebbe il “viaggio” dell'eroe. Per concludere, per esempio, che sì è una narrazione, anche se riuscita male.

In realtà, a nostro parere questo successo dipende dal piacere che procurano la truffa e l'inganno. Nel gioco delle tre tavolette la vittima finisce per essere truffata e arrabbiata; qui, paradossalmente, truffata e contenta. Certo che si profila un futuro culturalmente ed esistenzialmente molto gramo per chi si compiace di essere sfruttato in modi regressivi da parte di enti che dovrebbero agire soprattutto nel rispetto dei loro cosiddetti clienti.

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