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Sorprende il dramma da camera «Barriere» di Denzel Washington

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Sorprende il dramma da camera «Barriere» di Denzel Washington

In attesa della cerimonia degli Oscar di domenica, nelle sale arriva uno dei grandi protagonisti della notte cinematografica più importante dell'anno: «Barriere», diretto e interpretato da Denzel Washington, ha ottenuto quattro nomination (miglior film, attore protagonista, attrice non protagonista e sceneggiatura non originale) ed è uno dei titoli più significativi del weekend al cinema.

Terza prova dietro la macchina da presa per Washington, che ha preso ispirazione da un'importante pièce di August Wilson del 1983, vincitrice del Premio Pulitzer, che Washington e Viola Davis avevano già interpretato a teatro con grande successo nel 2010 (vinsero due Tony Awards per le loro performance). Wilson è morto nel 2010, ma viene comunque accreditato come sceneggiatore di questa pellicola che riprende alla lettera lo spirito del suo testo: protagonista è Troy Maxson, un uomo pieno di rabbia e sogni infranti che, nella Pittsburgh degli anni Cinquanta, mantiene la sua famiglia facendo lo spazzino. Gli equilibri del nucleo familiare verranno messi a dura prova da una confessione che l'uomo decide di fare alla moglie Rose.

È un potente dramma da camera, quasi unicamente girato tra le mura domestiche, che punta sulla forza dei dialoghi, capaci di trattare una serie di tematiche non semplici: dal razzismo al rapporto padre-figli, passando per i cambiamenti sociali in atto nell'America del periodo.
Washington punta su una regia essenziale e delicata e, nonostante in alcuni passaggi possa pesare la staticità della messinscena, non era mai stato così incisivo dietro la macchina da presa.

Il risultato è un'opera dura e appassionante, valorizzata da performance attoriali semplicemente maiuscole: ottimo Washington nei panni di Maxson, ma davvero superlativa Viola Davis nei panni della moglie. L'Oscar per la miglior attrice non protagonista non può che essere suo.

Esiti molto diversi per «The Great Wall», pasticciato blockbuster firmato da Zhang Yimou. Ambientato in Cina, negli anni della dinastia Song, racconta di alcuni mercenari stranieri che, dopo essere riusciti a scampare alla furia di un mostro misterioso, combatteranno accanto a un gruppo di guerrieri cinesi per proteggere la Grande Muraglia.

Co-produzione tra Cina e Stati Uniti ad alto budget (circa 150 milioni di dollari), nonché primo film in lingua inglese girato dal grande regista cinese Zhang Yimou («Lanterne rosse», «La foresta dei pugnali volanti»), «The Great Wall» è un film che non trova l'ampio respiro che cerca, le sequenze d'azione si limitano a scontri di scarsa fattura e gli effetti speciali risultano dozzinali.
Poverissimo in fase di scrittura e poco coinvolgente, è uno dei punti più bassi raggiunti da Zhang Yimou e Matt Damon (l'attore protagonista) in carriera.

Infine, una segnalazione per «La marcia dei pinguini - Il richiamo» di Luc Jacquet. Dodici anni dopo il grande successo del documentario «La marcia dei pinguini» (2005), il regista francese Luc Jacquet firma curiosamente un sequel (al centro ora c'è la vita di un piccolo pinguino imperatore): tornato in Antartide con una nuova spedizione, il documentarista ha portato con sé tecnologie inesistenti nel 2005, sfruttando così l'alta definizione e l'utilizzo di droni e interessanti riprese sottomarine.

L'apparato visivo è di notevole fattura, ma le suggestioni e la maggior parte delle dinamiche narrative sono le stesse della pellicola precedente e raramente ci si riesce a sorprendere. L'originalità latita, anche se alcune riprese subacquee sono davvero impressionanti e il talento documentaristico di Jacquet non è messo in discussione. La voce narrante per la versione italiana è di Pif.

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