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Botteghe di arte e immaginazione nella «terza età della…

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Botteghe di arte e immaginazione nella «terza età della felicità»

Che cosa aveva reso il nostro Rinascimento “la terza età della felicità”, dopo quella di Filippo e Alessandro e quella di Cesare e Augusto? Secondo Voltaire il merito era dei Medici, questi straordinari “cittadini” che avevano agito meglio e di più dei re di Europa. Certamente i Medici ebbero degli altissimi meriti nel creare il terreno fertile in cui esplosero i talenti del nostro Rinascimento, ma il segreto fu quello di unire arte e tecnica, abilità manuale e sapienza scientifica, e, sopra tutto, il collante dell’immaginazione.

Le botteghe artigiane delle città rinascimentali avevano in comune questo spirito come mette in evidenza Piero Formica, professore all’Università Maynooth di Dublino in un bel libro: «Entrepeneurial Renaissance, Cities Striving Towards an Era of Renaissance and Revival».

L’asso nella manica che i nuovi imprenditori devono giocare sta proprio in quella capacità rara di andare a esplorare il mondo sconosciuto, al di là delle Colonne di Ercole. Perché se innoviamo su realtà già note tracciamo dei percorsi, magari migliori dell’esistente perché si perfezionano tecniche già in uso; ma solo quando ci avventuriamo nell’ignoto stabiliamo dei percorsi creativi, che nascono cioè dall’ignoranza. Non meravigli la parola ignoranza: parliamo di “ignoranza creativa”. Stuart Firestein, professore alla Columbia University, si accorse che ai suoi studenti teneva dotte lezioni sul già noto e non parlava di quello che ancora era ignoto. Organizzò così un corso sull’ignoranza: su tutto quello che ancora non si sapeva stimolando riflessioni e aprendo discussioni in merito.

Ma tutto questo non basta: anche avendo assimilato il concetto di far convivere tecnologia, scienza e immaginazione, c’è bisogno di quella marcia in più che traduca le idee in prodotti e servizi. Dal «Cogito ergo sum» si deve passare all’ «Ago ergo erigo» (Agisco e quindi costruisco) secondo le parole di Edward de Bono. Per poter volare alto l’innovazione ha bisogno, come le ali del calabrone, dei vortici di ascesa degli investimenti in R&S: dagli investimenti nascono i percorsi dell’imprenditorialità, che prendono strade dirette o strade secondarie, a seconda del continente in cui approdano. In Europa i corpi accademici non hanno molta familiarità con lo spirito imprenditoriale, mentre negli Stati Uniti, in India e in Australia, soffia un’aria diversa e l’unione tra scienziati e imprenditori genera un mix vincente. Gli ecosistemi di Google, Apple e Intel...sono luoghi di scienza con imprenditorialità e attraggono più delle tradizionali università i giovani talenti che vogliono innovare.

Le città “rinascimentali” di questo secolo, sono sparse per il mondo e hanno una caratteristica comune: attraggono i nomadi della conoscenza e li incoraggiano a fermarsi perché hanno creato il mix magico di una amministrazione capace di mettersi al servizio dei giovani, un livello alto di formazione, spazi dedicati alla sperimentazione e una buona qualità della vita. Sembra troppo? Noi crediamo che, come già succede a Bangalore o a Sidney, a Stoccolma o a Milano, a Bournemouth o a San Francisco a Tel Aviv o a Dublino dove questi diversi attori agiscono insieme, si possa esplorare, scoprire e sognare, per trasformare il fermento innovativo in occupazione, reddito e... gloria nei secoli.

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