Quelli nati tra gli anni Quaranta e Cinquanta ricorderanno i Beatles ma anche l'Electric Light Orchestra alla prese con «Roll Over Beethoven» oppure i Rolling Stones ma anche gli Animals che eseguono «Around and Around». Quelli nati tra gli anni Sessanta e Settanta ricorderanno soprattutto «Ritorno al Futuro» con Michael J. Fox che esegue «un pezzo un po' vecchio» dalle sue parti, ossia «Johnny B. Goode». Quelli nati tra gli Ottanta e i Novanta magari penseranno a John Travolta e Uma Thurman che in «Pulp Fiction» duellano in pista di ballo sulle note di «You Never Can Tell».
In tutti e tre i casi musica e parole di Chuck Berry, cantante, chitarrista e autore, padre nobile del rock and roll che se ne va a 90 anni nella sua casa St. Charles County, Missouri, dopo una vita «tirata» come gli assoli bluesy con cui apriva molte sue hits. L'«anello di congiunzione» – ragionando in termini evoluzionistici – tra la musica dei neri e quella dei bianchi d'America che, nella seconda metà del Novecento, avrebbe conquistato il mondo. Uno che se ne intendeva – tale John Lennon – di lui disse: «Se si volesse dare un altro nome al rock and roll, lo si potrebbe chiamare Chuck Berry». E aveva ragione da vendere perché l'idea di accelerare il giro blues, mettere la chitarra elettrica al centro della scena e appoggiarci su versi nei quali i teenager del dopoguerra potessero identificarsi era tutta farina del suo sacco, successivamente «impastata» da gente come Beach Boys («Sweet Little Sixteen» diventerà per esempio «Surfin' Usa») o Rolling Stones (cos'è «Star Star» se non un tributo al Maestro?).
La scoperta di Mister Chess
Nato nel 1926 a St. Louis, città che spesso appare nei suoi testi, ebbe una giovinezza stravagante, tra lavoretti occasionali, piccoli crimini e periodi di vacanza nelle patrie galere. La leggenda vuole che mangiasse con le mani e dormisse in macchina quando incontrò Muddy Waters, nume tutelare del blues elettrico e re incontrastato della scena di Chicago, che lo presentò al produttore Leonard Chess. Per la Chess Records, Berry debutta nel 1955 con la cavalcata «Maybelline» che è prima in classifica R&B e quinta in quella generalista, l'inizio della leggenda. Successo bissato un anno più tardi da «Roll Over Beethoven», quindi da «School Day (Ring! Ring! Goes the Bell»), dove si affacciano con insistenza le tematiche high school che diventeranno un punto di riferimento della sua poetica, e «Johnny B. Goode», storia di un ragazzo che gira con una chitarra in sacco di iuta e sogna il grande successo, forse la più bella autobiografia formato canzone del rock delle origini. Le hit si moltiplicano, da «Memphis Tennessee» a «Carol», da «Back in the Usa» a «Rock and Roll Music», ci scappa pure la Christmas Song sulla renna di Babbo Natale («Run, Rudolph, Run»).
Il carcere, poi gli omaggi degli allievi
Il lupo tuttavia perde il pelo ma non il vizio: nel '59 Berry finisce di nuovo in prigione, con l'accusa di aver avuto rapporti con una minorenne. Reati a sfondo sessuale che più volte torneranno a movimentare la sua biografia. Nei primi anni Sessanta avrà il tempo di piazzare l'ultima hit, «You Never Can Tell», vedere le band di surf e quelle della British Invasion rendergli omaggi più o meno espliciti, tra cover e mezzi plagi, per poi imboccare la strada di un lento declino lungo i Sixties e i Seventies, intervallata da gigs che vedono il Maestro dividere il palco con allievi del calibro di John Lennon e Keith Richards. All'inizio di quest'anno, dopo 38 di silenzio, è tornato con un album testamento intitolato semplicemente «Chuck». Più di uno, negli States, è convinto che se non fosse stato nero non avremmo mai sentito parlare di Elvis Presley, ma la storia non si scrive con i «se». E allora diciamo che, con Elvis Presley, Little Richard, Jerry Lee Lewis e Buddy Holly, Chuck è stato l'avanguardia di quella rivoluzione che ha conquistato il mondo con tre accordi, il sogno di una Cadillac e una sfrenata voglia di passare fuori il sabato sera.
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