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Vicenza, Veneto e le altre, perché le banche sono diventate…

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Vicenza, Veneto e le altre, perché le banche sono diventate impopolari

Popolare Vicenza e Veneto Banca sono “impopolari” da tempo, almeno da un paio d’anni. Ma ora - dopo l’azzeramento del valore delle azioni, una proposta di transazione che sa di elemosina (ma ciononostante accettata dal 70% dei soci), il rischio concreto di una penalizzazione degli obbligazionisti subordinati in nome dell’Europa del burden sharing - lo sono diventate ancora di più. E non sono le uniche: i timori di ieri dei soci dei due istituti veneti sono gli stessi che oggi si trovano a vivere decine di migliaia di risparmiatori che negli anni hanno acquistato (e ora non riescono a vendere) le azioni di Banca Popolare di Bari, di Ragusa o di tante altre banche sparse per l’Italia.

Giocoforza, il libro di Andrea Greco e Franco Vanni, di Repubblica, dedicato alla storia recente di un grande pezzo del credito italiano non poteva che intitolarsi Banche impopolari (Mondadori, Milano 2017, 224 pagine). Una storia raccontata attraverso le storie di chi l’ha vissuta, di chi molto ha creduto e molto ci ha perso: soldi e fiducia. I primi sono il danno materiale, la seconda rappresenta la ferita più difficile da rimarginare. E forse la chiave per capire come e perché la nobile storia del credito cooperativo italiano abbia prodotto, in alcuni casi, esiti così nefasti: fiducia costruita nel tempo, ma poi abusata (e spesso mal riposta) e degenerata in quell’opacità di relazioni, pseudo-politica, favori a buon mercato che paralizza l’Italia non solo in ambito creditizio.

Messi in fila, tutti gli eventi raccontati - la parabola di Gianni Zonin a Vicenza e quella di Vincenzo Consoli a Montebelluna, il regno della famiglia Jacobini a Bari, la riforma del Governo Renzi, il processo di trasformazione in Spa delle grandi, le mire dei fondi per le migliori e l'impossibilità di vendere per chi è socio delle minori - fanno impressione. Anche perché si tratta di un copione ancora tutto da scrivere e dal lieto fine ben difficile da immaginare: la sovracapacità produttiva (troppe filiali, troppe persone), una governance spesso inadeguata e una vigilanza troppo spesso intempestiva non sono sostenibili sul medio-lungo periodo. Come dimostra l’interessante intervista a Francesco Greco, procuratore capo a Milano, secondo il quale «serve un codice penale bancario, che oggi in Italia non esiste», e non risparmia una bacchettata ad alcuni magistrati, e alla loro «brutta abitudine di delegare le indagini più complesse alla polizia giudiziaria, rinunciando di fatto al proprio ruolo di investigatori».

Per i numeri e la rilevanza, il problema dell’impopolarità del credito riguarda tutti: banchieri, bancari, clienti, azionisti, politici, regolatori. E pure i giornalisti, interpellati - visto che in ballo c’è un valore fondamentale come la fiducia - a uno sforzo di responsabilità, come ha ricordato appena qualche giorno fa proprio il capo della Vigilanza di Banca d’Italia, Carmelo Barbagallo.

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