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Scusa, puoi spostare il sole?

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C'è qualcuno che sa leggere

Scusa, puoi spostare il sole?

Due illustrazioni tratte dal libro «Quando il sole si sveglia» di Giovanna Zoboli e Philip Giordano
Due illustrazioni tratte dal libro «Quando il sole si sveglia» di Giovanna Zoboli e Philip Giordano

Com’è questa storia dei libri che se sono belli sono per tutti? Sarà vero? In teoria sì, in pratica così così: i libri per, se non sono noiosamente didascalici, paternalistici, pioventi dall’alto sulle piccole teste innocenti da coltivare e crescere, sono una cosa molto buona. Pensati, riflettuti, costruiti pensando a destinatari precisi che non sanno ancora leggere ma amano farsi leggere, invitano alla complicità e all’uso, al riuso, all’abuso. (Poi ci sono dei libri che assomigliano a libri per bambini però non lo sono, ma questa è un’altra storia, come diceva un signore molto famoso). Sono buoni, i libri che durano: e non perché sono di gomma o di cartone forte resistente a piogge strappi e morsi, ma perché non si consumano alla prima lettura e nemmeno alla centesima. Lo sanno gli editori furbi che ogni tanto frugano negli scatoloni degli editori distratti o noncuranti oppure ossessionati dalle pulizie di magazzino o impegnati su altri fronti e riscoprono degnissimi progetti che meritano un altro giro.

Le avventure di Ulisse di Roberto Piumini, per esempio, con le illustrazioni fumettose di Francesca Ghermandi, era uscito anni fa per Editori Riuniti e torna di scena ora per Mondadori in un formato diverso, più largo e meno lungo. Ulisse piace a tutti gli scrittori come a tutti i lettori, è irresistibile, la sua è la storia più bella e strana del mondo, c’è tutto, guerra e amore, solitudine e astuzia, cani e streghe: Piumini la trasforma in una lunga ballata svolgendola in ottonari, che si piantano bene nella memoria. Non è proprio nuovo nemmeno Silvestro e il sassolino magico di William Steig, visto che è comparso per la prima volta nel 1969 e un passaggio italiano l’ha già fatto: l’autore-illustratore del vero Shrek (sempre Rizzoli), meno verde e anche più scomposto di quello del cinema, qui ha messo insieme una storia che parla di una pietruzza prodigiosa, di una paura spaventosa, di una trasformazione brutta, di ancora un bel po’ di paura e di una trasformazione felice finale (e i disegni sono incantevoli, sempre sommessi e precisi). Certo, se prima eri un somaro e poi diventi un sasso è terribile. Ma se poi si torna indietro lo spavento passa, anche se restano i pensieri: com’è che nelle storie i desideri portano guai? Sarà sempre così? Ma no: in Non sono tua madre di Marianne Dubuc, per esempio, Otto lo scoiattolo vorrebbe tanto ritrovare la mamma dello strano pallino peloso che è sbucato fuori da un riccio verde un giorno e si è insediato in casa sua, e ha l’ardire di chiamarlo mamma. Ma dopo molto cercare, e molto volersi bene nel frattempo, anche attraverso i pericoli, le aquile in picchiata e la fatica, ci si rende conto che non esistono vere mamme, esistono mamme e basta, o papà e basta, o tutte e due le cose insieme, e va bene così.

Prima delle storie ci sono le cose. Raccontano l’essenziale del mondo i cartonati del duo Philip Giordano-Giovanna Zoboli, uno di qualche anno fa, l’altro recentissimo: con lui alle illustrazioni lei ai testi minimi, Nel cielo nel mare e Quando il sole si sveglia sono occupati da un andirivieni di azioni legate al tempo che passa, al giorno che si dipana, ai luoghi abitati da momenti e animali. Geometrie e colori polverosi propongono ai bambini veramente piccoli immagini non convenzionali di cose che conoscono bene, con qualche scarto immaginativo quando dal concreto si passa all’astratto. Esistono anche cose concrete e astratte insieme, come le mele.

Lo sapeva bene un certo signor René che aveva una certa paura della tela bianca e per riempirla cominciò a guardarsi intorno in un modo un po’ diverso e a deporre sul bianco pezzi di mondo diventati insoliti, o ritagliati dalla loro realtà. La mela di Magritte è il titolo dell’album di Klaas Verplancke che fa parte di una collana del MoMA dedicata all’arte. Colorare, certo, è più facile che disegnare e dipingere, e viene bene per riempire il tempo quando ci si stufa: ma per rendere la faccenda saporita ci vogliono dei libri speciali come quelli di Hervé Tullet pubblicati da Panini, Il libro con il buco e Battaglie di colori. Il primo è tutto in bianco e nero, ed è un buco con un libro intorno (bocca, mondo, tana, isola, telescopio) da riempire di idee e colori; il secondo è a colori, è fatto come una sequenza di tabelloni di giochi di società, e lo si può giocare anche in due, con una certa ferocia: schiacciare le formiche si può, se lo fai col pennarello non fai male a nessuno e sfoghi un po’ le rabbie. Far fuori i pidocchi, poi, è una vendetta doverosa contro le loro invasioni, i morsi dietro le orecchie e i pettinini pungenti.

Infine, a proposito di quei libri che sembrano per bambini e non lo sono, Ti ricordi ancora di Zoran Drvenkar, con le illustrazioni grandissime di Jutta Bauer: un libro d’amore. I protagonisti erano piccoli a colori e adesso sono vecchietti al tratto che abitano un minimo spazio della pagina a sinistra, quella con le parole: quella a destra invece è tutta un disegno e ce li mostra quando erano un piccoletto coi ricci biondi e una bimba coi capelli dritti neri. Insieme, sempre insieme, hanno affrontato mille avventure, una al giorno, tra capre schizzinose, lucciole e piogge, soli da spostare, gnomi stranieri, sempre senza paura, perché «chi ha paura delle avventure è meglio che se ne stia a casa». Ecco, questo sarebbe un libro all’inverso, da regalare a un grande o a un vecchio, da parte di un bambino che gli vuole bene. Ma funziona anche al contrario, se qualcuno per caso si sbagliasse, perché i bei libri trovano sempre il loro momento nel tempo per balzare addosso al lettore e non lasciarlo mai più.

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