Cultura

E se avvitassimo un po’ di memoria a un legno?

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E se avvitassimo un po’ di memoria a un legno?

Alla ricerca di una direzione. Illustrazione tratta da «Dov’è Orso?» di Jonathan Bentley (Mondadori, Milano, pagg. 32, ill., € 14) © 2016 Jonathan Bentley, © 2017 Mondadori Libri S.p.A., Milano, per l’edizione italiana
Alla ricerca di una direzione. Illustrazione tratta da «Dov’è Orso?» di Jonathan Bentley (Mondadori, Milano, pagg. 32, ill., € 14) © 2016 Jonathan Bentley, © 2017 Mondadori Libri S.p.A., Milano, per l’edizione italiana

A chi ha la ventura di insegnare in prima elementare, bastano poche settimane per rendersi conto di quanto sia ingiusta e arbitraria la distribuzione della memoria tra bambine e bambini. C’è chi assimila e trattiene subito molto di ciò che ascolta e vede e chi fatica a ricordare il significato di una parola o la forma di una lettera anche dopo qualche minuto. Dietro questa disparità ci sono certo ragioni sociali e culturali legate alla famiglia, al grado di ascolto ricevuto da piccoli, alla quantità di parole frequentate e alla qualità di conversazioni condivise, ma è indubbio che c’è anche altro, che ha a che vedere con la forma peculiare dell’intelligenza di ciascuno.

Poiché ritengo che la scuola debba essere il luogo dove si cercano di attenuare il più possibile le distanze che generano frustrazioni e discriminazione, so per esperienza che può essere di aiuto frequentare diversi linguaggi. E allora, per favorire il difficile sviluppo della memoria di tutti dobbiamo cercare alleati nei territori più disparati.

Pescando nelle radici antropologiche del mandare a mente, ritmo e musica sono i primi alleati. Se cantiamo insieme il viaggio di Astolfo sulla luna o alcuni versi di Leopardi, so per certo che molti ricorderanno quelle parole dopo anni perché ancorate a un ritmo e ad un suono.

Se una scoperta scientifica sulla luce la compiamo sotto un albero o un tramonto lo andiamo a osservare camminando a lungo è più facile che quell’esperienza resti impressa nelle menti dei bambini perché ha comportato fatica e insieme gioia. Se le variazioni delle aree di un parallelogramma che si “schiaccia” e tende a zero, le osserviamo muovendo tra le mani quattro legni che precedentemente i bambini hanno avvitato tra loro, quel raffinato ragionamento logico che contempla, al suo estremo, il caso limite di una figura senza area, lo posso in certo modo tenere in mano e questo mi aiuta a mandarlo a mente.

Musica, spazi diversi, esperienze concrete e uso delle mani aiutano dunque la memorizzazione di parole e concetti, premessa necessaria all’affinamento di ogni ragionare.

Per confrontare la mia ipotesi con la tua devo avere parole capaci di dargli corpo, saperle riconoscere, trattenere e trattare con cura. Ma la necessaria cura del linguaggio passa per la dignità che deve essere data al pensiero di ciascuno. È allora che possiamo fermarci e ragionare sulle parole e, soprattutto, sostare a lungo al bordo delle domande che ci poniamo.

E qui subentra la questione dell’uso che facciamo delle tecnologie di cui oggi disponiamo. Ogni scoperta e innovazione tecnica che entri nell’uso comune offre nuove possibilità, insieme a una inevitabile perdita di alcune attitudini e capacità umane, come Platone già sapeva e denunciava. Se in tasca di ogni ragazzo c’è un i-Phone che può fornirgli risposte immediate alle più disparate domande, formulate anche malamente e con parole imprecise, è chiaro che qualche questione riguardo all’uso in proprio della logica fondata su una ricca memoria personale si pone, perché è difficile proporre a un ragazzo di salire fino a un passo di montagna in bicicletta se ha una moto a disposizione. Perché faticare a memorizzare tanti contenuti, concetti e informazioni se li ho già in tasca?

Il problema è, per l’appunto, che li ho in tasca e non in testa. E se le libere associazioni sono il respiro del pensiero, non dobbiamo mai dimenticare che pescano dalla memoria del corpo, dalla nostra memoria più intima e profonda. Se ci affidiamo solo o prevalentemente alle associazioni che genera il raffinatissimo algoritmo esterno di Google, ho il sospetto che alcune libertà mentali possano essere messe a rischio, soprattutto nei più fragili e poveri di parole.

E allora, riguardo alla memoria, credo dobbiamo tornare ad educare e ad educarci nel senso primario del termine, cioè aiutare i ragazzi ad uscire dal modo sbrigativo con cui trattano spesso le loro domande, stando bene attenti, tuttavia, a considerare che, se noi desideriamo e-ducare, cioè fare uscire dal solo loro mondo i ragazzi, dobbiamo essere disposti, a nostra volta, ad essere e-ducati, cioè fatti uscire dal solo nostro mondo. È infatti evidente che dalla loro esperienza di continuo commercio e scambio di informazioni con il mondo abbiamo molto da scoprire e da imparare perché viviamo in un tempo di mezzo.

Il nodo, allora, per non buttare al fiume la bicicletta e lo sforzo che richiede il memorizzare e il ragionare, dobbiamo sperimentare insieme la bellezza di quella particolarissima fatica che consiste nell’azzardo di provare a entrare nella memoria di un altro allargando la propria, o almeno di bussare alla sua porta.

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