Nel Seicento, nelle corti europee, da Torino a Versailles, si giocava con l’Orlando Furioso, trasformato in un gioco di percorso e di ruoli, e ancora nel Novecento Guido Crepax costruiva delle pedine ispirate ai personaggi del poema, in cui la bella Angelica prendeva le fattezze della sensuale Valentina. Queste diverse esperienze, ispirate al gioco, mi sono venute in mente subito quando ho visto le serigrafie che Giosetta Fioroni ha dedicato al Furioso: immagini piene di fantasia e di vita, di colori e di luce. Questa artista che ha frequentato a lungo gli scrittori e le loro opere, che ha saputo interpretare il fascino dell’infanzia, e della sua memoria, scompone il poema nei suoi ingredienti ideali e eterni, ne riporta alla luce la dimensione da fiaba, da racconto fantastico, e lo fa con leggerezza e divertita sapienza. Fra il 2015 e il ’16 Giosetta Fioroni gioca in un senso col Furioso: ricostruisce una galleria di personaggi: Ruggero e Marfisa, Orlando, Astolfo, Rinaldo e Bradamante vengono ritratti con i loro elmi fantastici, che ci fanno venire alla mente gli elmi visionari con cui, a fine Cinquecento, i paladini venivano rappresentati nelle incisioni, quali ad esempio quelle conservate a Milano, nella Civica Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli, solo che qui è del tutto nuova l’esplosione dei colori, accompagnata, nel caso di Marfisa, da una misteriosa compenetrazione fra volto e elmo. Bradamante, che insegue per tutto il poema l’amato Ruggero, indossa a sua volta l’elmo (è una valorosa guerriera), ma i lineamenti sono dolci e le labbra sode e carnose sono sottolineate da un rosso intenso. Senza elmo sono invece Angelica e Medoro, la principessa e l’umile fante destinati, contro ogni previsione, a innamorarsi e a fuggire insieme, nel lontano regno di lei, nel mitico Catai. Il giovane Medoro è rappresentato in tutto il suo fascino e ci guarda diritto negli occhi con i suoi occhi verdi: non ha certo bisogno di elmo o di armi per conquistare il cuore di Angelica. La quale naturalmente è bionda e bellissima, e una misteriosa freccia si insinua tra i suoi capelli, forse a rappresentare la sua capacità di seduzione, quella che mette in moto gran parte della macchina del Furioso.
Come in un gioco di carte i ritratti dei nostri eroi ricompaiono nelle due serigrafie, collocati in un diverso contesto, che ne fa sprigionare la forza narrativa. Parole e immagini sono compresenti, o meglio si inseguono nella prima serigrafia: il titolo del poema campeggia in alto, in lettere capitali colorate di rosso e di nero, di amore e di follia; seguono i primi sei versi dell’ottava 7 del canto IX
Tra il fin d’Ottobre e il capo di Novembre
ne la stagion che la frondosa vesta
vede levarsi e discoprir le membre
trepida pianta finché nuda resta
e van gli augelli a strette schiere insembre,
Orlando entrò ne l’amorosa inchiesta.
I versi sono trascritti con un’ordinata e chiara grafia, e la loro disposizione ha una forte valenza visiva: il primo verso, quello che indica il tempo della storia, è staccato dagli altri dai ritratti di Bradamante, Ruggero e Marfisa, oltre che da cuori e da foglie che hanno la forma di cuori; gli altri tre versi si susseguono ordinatamente, mentre il quinto è frammentato (e van gli augelli \ a strette schiere \ insembre) così che la sua disposizione nello spazio sembra riflettere il volo degli uccelli; l’ultimo verso, scritto in nero, a caratteri più grandi, sta in basso, a chiudere la cornice e ad aprire idealmente le infinite vicende della amorosa inchiesta. Nel mezzo e intorno vediamo, oltre ai cuori, il ritratto di Astolfo e una Luna ridotta al suo ultimo quarto, la sagoma di un cane, che ricorda Petote, un cane molto amato da Giosetta, Orlando imprigionato dentro un cuore e accanto a lui, enorme e sfuggente, appare Angelica, il fantasma amoroso, evocata con pochi tratti.
Le stesse immagini vengono rigiocate, con una diversa regia, nell’altra serigrafia: qui il volto di Angelica sta nel centro della scena, una scena teatrale rapidamente evocata, che porta in alto, come titolo e iscrizione, Orlando entrò ne l’amorosa inchiesta, dove le lettere diventano via via più grandi, e “amorosa inchiesta” è scritta in maiuscolo, a suggerire la forza crescente e inarrestabile del desiderio amoroso. Tutto intorno, a fare cornice, si dispongono i ritratti di Orlando, di Rodomonte, Bradamante, Astolfo, Mandricardo e Ruggero, intervallati da cuori, civetta, scale, foglie, stelle e rete: una evocazione per immagini e simboli (per geroglifici, avrebbero detto nel Cinquecento) delle vicende del Furioso, della forza delle passioni che lo animano.
Giosetta Fioroni ha compiuto un’incursione nel cuore del poema, ne ha colto l’essenza (l’“amorosa inchiesta”) e vi ha posto al centro Angelica, la forza e l’incanto del femminile. Ha così interpretato anche la dimensione del gioco, la grazia, il gusto fiabesco del narrare, che sono componenti importanti del poema dell’Ariosto, il quale era a sua volta uomo di teatro, autore e regista, pronto a proiettare sulla scena se stesso e i suoi personaggi. Attraverso i secoli l’Orlando Furioso ha ispirato, e continua ad ispirare, le più diverse forme d’arte; a distanza di 500 anni possiamo osservare la ricchissima e varia galleria di immagini in cui il poema si è tradotto e riflesso come in un caleidoscopio, a riprova della sua vitalità. Di questa galleria fanno parte, a pieno titolo, le immagini di Giosetta Fioroni e gliene siamo grati.
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