Che cosa può dire all'uomo d'oggi Averroè, un pensatore arabo vissuto tra il 1126 e il 1198? Un filosofo che si poneva alte questioni su Dio, l'anima, il mondo? Anche se il nostro è tempo di leggerezze e di comunicazioni inutili, Averroè continua a suscitare ammirazione. Non soltanto vale la pena rileggerlo, o ripercorrerne la fascinosa opera, ma le sue problematiche sanno arricchire le sensazioni che circolano nell'era di Internet.
Già, Averroè. In tal modo il medioevo chiamò Abū l-Walīd Muhammad ibn Abmad ibn Muhammad ibn Rushd, un filosofo che fece conoscere all'Occidente Aristotele e che Dante pose nel castello degli spiriti magni, nel Limbo o primo cerchio dell'Inferno. Così il sommo poeta nel IV canto della cantica dedicata ai dannati: «Averoìs che 'l gran comento feo».
Dante parla di Averroè anche in altre sue opere (nella «Monarchia», nella «Questio de aqua et terra»); nel XXV canto del Purgatorio respinge la tesi, cara all'arabo, dell'intelletto separato: «sì che per sua dottrina fé disgiunto / da l'anima il possibile intelletto, / perché da lui non vide organo assunto».
Bene: chiunque non si accontenti delle recite televisive della “Commedia” dantesca o chi non crede alla stupida tesi che le filosofie del passato siano soltanto dei ruderi archeologici, ha ora a disposizione un saggio su Averroè degno della massima considerazione.
Lo ha scritto Matteo Di Giovanni, professore di filosofia antica e araba presso la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera. Lo ha pubblicato l'editore Carocci di Roma nella collana “Pensatori” (giunta al 42° volume). Il titolo: “Averroè” (pp. 284, euro 19).
Di Giovanni ha vergato il suo saggio su questo pensatore, per il quale «supremo comandamento per il filosofo è l'indagine scientifica del reale», con un linguaggio chiaro e con pagine ricche di documentazione di prima mano. All'esposizione fa seguire una sinossi delle opere che sarà preziosa per chi desiderasse accostarsi alle innumerevoli problematiche trattate nelle opere di Averroè, il quale lasciò anche testi di medicina, o meglio dei commenti a Galeno e ad Avicenna. Ovviamente nel suo corpus non mancano problematiche teologiche o di diritto islamico.
Giudice, medico, filosofo, Averroè nel mondo latino fu noto per la dottrina secondo la quale dinanzi a una questione filosofica si schiuderebbe la possibilità di attivare due distinte verità: l'una razionale o filosofica, l'altra di fede o religiosa; tra loro forse in contraddizione, tuttavia valide allo stesso tempo nel proprio ambito. Era la cosiddetta dottrina della doppia verità. Ma qui il problema si amplia a dismisura e occorre aggiungere ben più di qualche precisazione. Fidatevi e cominciate da Di Giovanni e dal suo ampio profilo. Il resto è storia troppo lunga.
Matteo Di Giovanni, “Averroè”
Carocci, collana “Pensatori”
pp. 284
euro 19
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