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Che mito questi greci: avevano già capito tutto

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Che mito questi greci: avevano già capito tutto

Musica senza gabbie. Una delle illustrazionid di Federico Maggioni per il libro «Orfeo, la ninfa siringa e le percussioni pazze dei coribanti» di Franco Lorenzoni
Musica senza gabbie. Una delle illustrazionid di Federico Maggioni per il libro «Orfeo, la ninfa siringa e le percussioni pazze dei coribanti» di Franco Lorenzoni

Si tramandano dal XI secolo a.C. e, anche se hanno perso la loro connotazione religiosa da 2000 anni, i miti greci continuano ad essere La Referenza in grado di spiegarci tutto – o quasi.

Da una parte c’è la mitopsicologia, ovvero l’esegesi del mito in chiave psicologica per catalogare personalità e comportamenti: dal complesso di Edipo di Freud, ai self-help book come Gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere.

Dall’altra c’è la più poetica (e divertente) eziologia che a quegli archetipi riporta concetti, cose, eventi. Come la ninfa Callisto che viene trasformata nell’Orsa Maggiore, o Persefone che porta la primavera ogni volta che risale dall’Ade. «Due miti che mi piace particolarmente raccontare ai bambini, perché questo è un linguaggio che sentono familiare. Come il momento in cui Siringa è schiacciata dall’ansia e dal timore che Pan le suscita: per la prima volta nel mondo qualcuno prova il “panico”, e quel sentimento, poi, nel mondo ci è rimasto». Il maestro Franco Lorenzoni, che su queste pagine cura la rubrica “Elementare!”, non ha dubbi: «Tutti i miti – greci, nativi americani, nordici – nascono dall’esigenza primordiale umana di darci una ragione per quel che accade e quel che vediamo intorno a noi. Ancora oggi i miei alunni sono capaci di inventare delle origini fantastiche per qualcosa che non conoscono».

A loro, ai bambini dai sei anni in su, è indirizzato il suo nuovo libro Orfeo, la ninfa Siringa e le percussioni pazze dei Coribanti – tre miti sull’origine della musica, che rivisita tre storie note come quella di Orfeo e Euridice, dell’ossessione amorosa di Pan, e del terribile Crono che mangia i suoi figli per non essere spodestato.

Perché tornare su storie appunto così note? «Per parafrasare Calvino, i classici ti pongono sempre nuove domande, ti possono sempre stupire. Abbiamo sempre raccontato e ascoltato storie che già conosciamo: basti pensare alla Messa. C’è il piacere di sentirle ancora e di scoprire un dettaglio a cui non avevamo fatto caso».

Per Lorenzoni, insomma, raccontare di come Zeus fu salvato dalle fauci del padre significa avvicinare il suo giovane pubblico all’immaginario che ha formato la cultura a cui appartengono, e allo stesso tempo significa intervenire personalmente: quando sottolinea alcuni momenti («mi piace tanto il fatto che gli animali si fermino incantati ad ascoltare Orfeo, e poi lo seguano, il leone insieme all’agnello»); quando ne arricchisce altri («i Coribanti che sovrastano il pianto di Zeus mentre viene nascosto da Crono li ho un po’ forzati e incrociati con mito dei Cureti, pensando agli adolescenti e a quanto gli piace fare casino quando hanno a disposizione degli strumenti da percuotere»); o quando semplicemente sceglie questi tre miti e li associa trovando nella nascita della musica il loro comune denominatore.

«La musica è il linguaggio più universale e contaminato: perché c’è sempre stata musica, ovunque, in tutti i tempi? Me lo sono chiesto, volevo fare queste domande», continua l’autore, che nella vicenda di Siringa – la ninfa che per fuggire al predatorio Pan viene trasformata dalla Luna in esili canne e poi dal dio delle montagne in un flauto che terrà appeso al collo per avere qualcosa di lei sempre con sé – trova la più bella definizione di musica: «ciò che non puoi toccare e possedere, un amore non consumato che ti porta, ma non ti fa arrivare».

Le illustrazioni di Federico Maggioni, che con le sue visioni spaventose ha già affrontato altri testi immortali per l’infanzia come Cuore di De Amicis, declina qui il suo stile cupo con colori più sgargianti e segni grafici che negli uccelli e nei pianeti ricordano Altan e, nell’elegante Siringa danzante in una sorta di kimono mimetico, certe Salomé di inizio secolo, come quella di Aubrey Beardsley.

C’è molto nero, che non è esattamente il colore più kid-friendly, perché l’intento di questo libricino è preciso: terribile è la descrizione degli inferi in cui scende Orfeo a cercare Euridice; terrificante la violenza di Crono da sovrastare con il frastuono; bestiale e incontrollabile l’istinto di Pan. Perché l’orrore esiste e i bambini lo sanno, e proprio perché lo sanno hanno bisogno di confrontarsi con le loro paure più nere. Questi racconti, come le fiabe dei Grimm, danno un nome al buio sconosciuto, lo affrontano di petto.

La differenza sta nella conclusione: nella fiaba c’è sempre un finale netto, e una categorizzazione tra buoni e cattivi che non lascia zone grigie.

Nei miti, buoni e cattivi non sono così distinti: ogni personaggio si comporta a seconda della contingenza. E soprattutto, non tutto è conciliabile: ci saranno insoddisfazioni, finali aperti, raramente un vero vincitore morale e materiale. «È una falsificazione sostenere che nella vita si può tenere tutto: non è veramente così-, insegna Lorenzoni-. Il mio nemico giurato, come maestro, è proprio la semplificazione».

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