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Chi ascolta cosa nel mese dei festival?

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Economia e Società

Chi ascolta cosa nel mese dei festival?

La narrazione orale (nella foto un incontro di Festivaletteratura) costruisce socialità e può essere un interessante luogo di incontro per grandi e bambini
La narrazione orale (nella foto un incontro di Festivaletteratura) costruisce socialità e può essere un interessante luogo di incontro per grandi e bambini

La narrazione orale costruisce socialità e può essere un interessante luogo di incontro per grandi e bambini. Forse anche tra grandi e bambini. Sono appena tornato dal festival internazionale di narrazione che si svolge da 18 anni a fine agosto ad Arzo, ed era emozionante vedere strade e cortili di questo piccolo paese ticinese riempirsi di narratori e ascoltatori di ogni età, seguendo a tutte le ore proposte teatrali di qualità, che venivano da diversi paesi, ma soprattutto dalla Puglia e dal sud Italia.

Tra gli altri c’era Saverio La Ruina, intenso e toccante in Masculo e fiammina. L’attore calabrese, due volte premio Ubu, ha narrato con delicatezza e poesia il dramma dell’omosessualità vissuta in un piccolo paese sotto il Pollino. In un colloquio solitario con la madre defunta racconta, con ironia sofferente, il calvario delle incomprensioni e dei soprusi vissuti a causa della propria diversità, fino al brutale assassinio dell’uomo che amava. Al termine del lungo colloquio decide di ibernarsi accanto alla madre e le sue ultime parole sono: «Svegliatemi in un mondo più gentile».

Roberto Anglisani, presenza costante nel festival, ha festeggiato i suoi 40 anni di teatro, condividendo il lungo percorso di una ricerca che parte da suo nonno contadino a Taranto, perché la narrazione teatrale è una forma d’arte che ha le sue radici nei modi di raccontare storie presenti in un mondo rurale ormai scomparso. Ed è stato interessante accorgerci come l’affinamento di quest’arte gli ha permesso di costruire un monologo che narra L’inventore dei sogni di Ian McEwan e, al tempo stesso, elaborare una fiaba urbana a cui hanno assistito, impauriti e divertiti, bambini dai 4 anni in su.

Vale la pena ragionare intorno a questo grande bisogno di narrazione orale, perché in fondo i tanti festival che animano questo mese di settembre hanno questo in comune: ritrovarsi per ascoltare qualcuno che racconta.

Questo fine settimana c’è a Sarzana il Festival della mente, nel prossimo Mantova ospiterà la ventunesima edizione del Festival della letteratura, che è il capostipite dei numerosissimi festival culturali germinati un po’ ovunque. A metà mese ci sarà Pordenonelegge e il Festival della Filosofia a Modena, Carpi e Sassuolo e, a fine mese, per Internazionale a Ferrara, la città sarà invasa da lettrici e lettori di quel settimanale, in un incontro che raccoglie molti giovani.

Italo Calvino si irritava con chi gli chiedeva di incontrarlo per scrivere una tesi, sostenendo che un autore non ha nulla da aggiungere alle sue opere. C’è probabilmente una certa dose di narcisismo che unisce scrittori e conferenzieri di diverse provenienze, ma sinceramente in questi tempi, vedere una città riempirsi di donne e uomini di ogni età che trascorrono qualche pomeriggio o serata ad ascoltare argomenti, discutere, incuriosirsi, ragionare insieme non è cosa da sottovalutare ed esprime un bisogno di ritrovarsi, di riconoscersi in qualcosa che accomuna e sentirsi parte in qualche modo di una comunità, sia pur varia e provvisoria.

L’appartenenza collettiva un tempo prevedeva anche una qualche forma di lotta o impegno per trasformare le cose, mentre qui spesso l’anelito, al meglio, è cercare di capire qualcosa di più di un mondo la cui comprensione sembra sfuggire. Non è poco, ma non basta. E visto che un buon numero di fruitori di questi appuntamenti culturali sono insegnanti, mi domando cosa venga riportato a scuola di giornate in cui l’argomentare sensatamente si intreccia con il piacere dell’incontrarsi. Un intreccio vitale, che troppo spesso la scuola, specie superiore, non riesce a proporre ai ragazzi.

Una novità interessante sta nella presenza sempre maggiore, in diversi festival, di appuntamenti dedicati a bambini e ragazzi. Sono spazi, laboratori, proposte dedicate ai più piccoli, pensate forse all’inizio per permettere alle famiglie di partecipare, ma che stanno prendendo sempre più spazio e mi sembra si stiano trasformando in qualcosa di diverso, quasi festival paralleli per i più piccoli.

A Mantova, quest’anno, la Casa del Mantegna si trasformerà in palazzo dei bambini ed è interessante che i curatori del festival abbiano ritenuto che il teatro sia il miglior linguaggio sia per coinvolgere i bambini dai 4 anni in su che gli adolescenti i quali - come dice Carla Nicolini - quando incontrano la buona letteratura possono diventare lettori straordinari, al di là di ciò che banalmente si afferma.

Già negli scorsi anni a Mantova mi aveva colpito positivamente il vedere centinaia di ragazze e ragazzi coinvolti in vario modo nell’organizzazione delle giornate perché penso faccia assai bene loro potersi sperimentare nel lavorare insieme a uno scopo sociale e culturale e, soprattutto, allargare il forte bisogno di comunicazione alla possibilità di attuarlo in incontri diretti, in un corpo a corpo dove la presenza di autori e autrici è concreta, fisica, mentre troppo spesso la partecipazione giovanile a ciò che è pubblico sembra essere obbligatoriamente confinata alla lontananza virtuale.

Una piccola proposta. Sarebbe interessante ampliare la presenza giovanile e infantile a questo genere di appuntamenti sperimentando qualche volta un’inversione di ruoli tra grandi e piccoli. Chiedere cioè ad alcuni tra i relatori più illustri di cimentarsi a parlare ai ragazzi, come alcune volte è già stato fatto a Mantova, cercando le parole adatte perché possano avvicinarsi ad argomenti complessi, non dando nulla per scontato e usando una lingua capace di essere chiara e decifrabile, senza scadere nelle semplificazioni imperanti. Credo potrebbe essere un buon esercizio di democrazia.

All’inverso, sarebbe interessante proporre agli adulti laboratori in cui sedersi in cerchio e mettersi in gioco attorno a un qualche argomento che necessita il sostare attorno a domande da approfondire, come la scuola sensata chiede di fare ai bambini.

Trasformare per una volta la narrazione di storie o argomenti, che necessariamente è frontale e unidirezionale, in un luogo in cui, prendendosi più tempo, si possa mettere in evidenza il tema più delicato di ogni comunicazione interumana, cioè il fatto che si crede che gli altri intendano ciò che qualcuno dice, ma se poi si scava appena un po’, ci si accorge che ciascuno piglia le stesse parole a modo suo e ne fa altra cosa. Condividere per una volta queste diversità di ascolti, accogliendone le potenzialità e accorgendosi dei limiti, credo sia un buon esercizio, anche per provare a costruire quel mondo più attento e gentile, sognato dall’attore calabrese costretto per ora ad ibernarsi.

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