«Pare che molte persone siano convinte che io sia stato l’iniziatore, ma il rock and roll esisteva già molto prima del mio arrivo. Nessuno può cantare quella musica meglio degli afroamericani. Siamo sinceri: io non riesco a cantare come Fats Domino. Ne sono conscio, ma mi è sempre piaciuto questo genere musicale». Così parlò Elvis Presley, il «bianco con la voce di nero» o più semplicemente «The King of rock and roll», a proposito di un nero con una voce dal timbro inconfondibile che lo ha preceduto nel solco del genere musicale più pop0lare del Novecento. Antoine Dominique Domino, pianista, cantante e compositore meglio noto come Fats Domino per l’iconica taglia extra large, rientra nell’esclusivissimo club dei padri fondatori del rock. È morto oggi a 89 anni di età nella villa dei sobborghi di New Orleans in cui si era ritirato.
Fats come Little Richard e Chuck Berry, anello di congiunzione tra la musica dei neri e quella dei bianchi. Ma se il primo portò con sé nel «nuovo suono» il patrimonio gospel e il secondo quello blues, Domino diede al nascente genere un contributo jazz, com’era nelle corde della sua città. Quel tocco di raffinatezza tipico dei suoi pattern di pianoforte. Lui che della capitale della Louisiana, insieme con Louis Armstrong, era l’anima musicale. Proveniva da una famiglia di musicisti, la cui vena artistica non si è ancora esaurita: il nipote Craig Adams è la star del coro gospel delle Voices of New Orleans. Cominciò presto a suonare il piano e a 14 anni lasciò la scuola per dedicarsi alle serate nei night club. E, mentre girava il profondo Sud a colpi di boogie woogie, incontrò il produttore Dave Barholomew che allora lavorava per la Imperial Records.
L’avvento di The Fat Man
Fu l’inizio di tutto: nel ’49 Fats pubblicò il singolo programmatico The Fat Man, una specie di rock and roll prima della nascita del rock and roll. Probabilmente quello a cui si riferiva Elvis quando rifiutava di appuntarsi al petto la medaglia di inventore del genere. Da quel preciso momento per Fats fu una specie di marcia trionfale: Ain’t that a shame (1955), Blueberry Hill (1956), l’ironica I’m Walkin’ (1957), la trascinante The Big Beat, ancora del ’57. Non sbaglia un colpo, almeno fino al 1964. Poi succede che quattro suoi giovani fan inglesi arrivano in America e, tutto d’un tratto, cambiano i gusti del pubblico. Si chiamavano John, Paul, George e Ringo.
La crisi con l’arrivo dei Beatles
Con la British Invasion il Nostro entra in crisi. Come gli altri pionieri del rock, il pianista di New Orleans si scopre all’improvviso roba vecchia. Fortuna che non sempre gli allievi talentuosi dimenticano i maestri: i Beatles si ispirano a lui al momento di comporre (e arrangiare) il singolo Lady Madonna, farina del sacco di Macca. Il singolo con la cover di Lady Madonna datato 1968 darà a Fats occasione di tornare nella Billboard Hot 100. Favore più che ricambiato, insomma. Il successo tuttavia non è mai stato un cruccio per questo straordinario musicista che sceglie di vivere appartato a New Orleans, uscendo dalla tana tutte le volte che c’è da rievocare la gloriosa epopea degli albori del rock.
Dopo Katrina Alive and Kickin’
Difficilmente lasciava la sua città. Tant’è vero che nel 2005, quando l’uragano Katrina si abbatté su di essa, fu dato erroneamente per morto. La storia andò diversamente, per fortuna: valido venne un elicottero della guardia costiera a portare in salvo la famiglia Domino in quel di Baton Rouge. Saluterà la circostanza con la pubblicazione di un album, dal titolo assolutamente pertinente: Alive and Kickin’ (2006). In carriera non gli sono certo mancati tributi e onorificenze: dall’introduzione nella Rock and Roll Hall of Fame (1986) all’invito alla Casa Bianca (2006). A fare due conti, ha venduto qualcosa come 65 milioni di dischi e accumulato un patrimonio personale stimato in 8 milioni di dollari. Che i conti in questione tornino o meno, la sua musica gli sopravviverà. Quant’è vero che i Led Zeppelin, all’inizio degli anni Settanta, rallentavano i loro concerti per suonare Blueberry Hill e che i Chip Trick, qualche anno più tardi, costruirono una carriera sulla cover hard & heavy di Ain’t that a shame.
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