Impegnato da decenni in un assiduo lavoro su testi filosofici dell’età moderna, convinto che le dottrine depositate in tali testi siano fatti «non deducibili, ma raccontabili con i metodi delle altre discipline storiche», posto che l’analisi filologica è condizione della loro intelligenza e che non esiste una filosofia perenne con i suoi massimi problemi, Carlo Borghero ha portato contributi fondamentali nel variegato campo di dottrine intese come filosofiche, soprattutto fra Seicento e Settecento, settore privilegiato delle sue ricerche.
Oggi raccoglie, in nuova forma e spesso scrittura, quei saggi che più direttamente incidono sulla metodologia della ricerca storica, delineando anche un articolato panorama critico di un dibattito sulla storia della filosofia che ha avuto soprattutto in Italia grande significato, in relazione all’esemplare lavoro di Eugenio Garin, sia come storico del Rinascimento e dell’età moderna, sia per le proposte metodologiche presentate nella fortunata e discussa raccolta di saggi, riuniti nel 1959 sotto il titolo La filosofia come sapere storico. Dibattito di grande rilievo eppure rimasto chiuso nell’ambito italiano, come sottolinea Borghero, all’interno di barriere linguistiche e insieme di suggestioni nazionalistiche delle diverse culture.
Poiché Borghero è uno storico, sa che anche il discorso metodologico è storicamente incarnato, non si svolge nell’iperuranio delle idee, ma nell’impuro lavoro degli uomini, il suo discorso diviene discussione puntuale di tante cruciali categorie storiografiche, ora utilizzate come utili strumenti classificatori ora elevate a miti, divenendo esse stesse oggetto di storia, acquistando una “vita autonoma”, sicché spesso la storia della filosofia – sottolinea Borghero – diventa storia non legata a testi e ad autori, ma storia di tali categorie.
Di questa pericolosa sostituzione – che tende a distruggere la storia filologicamente costruita per porre al suo posto una costante lotta fra mitici giganti – Borghero discute molti esempi: l’abusata definizione di età classica, di razionalismo cartesiano, di spinozismo, di crisi della coscienza europea, sino alla più recente scoperta di un illuminismo “radicale” di contro a uno “conservatore”, in relazione al fortunato volume di Margaret Candec Jacob, The Radical Enlightenment. Pantheists, Freemasons and Republicans, pubblicato a Londra nel 1981 e tradotto in italiano nel 1983.
Il tema dell’illuminismo radicale è stato di moda per qualche decennio, diffondendo tra l’altro l’equivoco uso di un aggettivo, radicale, per definire non una realtà istituzionale o un’organizzazione politica ma un complesso disorganico di idee variamente considerate come “lumi”. Borghero scrive sul tema considerazioni che si possono considerare come epigrafe commemorativa, pur sottolineando il valore che ha avuto per mettere in crisi altri miti, come quello variamente dilatato della crisi della coscienza europea e per valorizzare determinati ambiti culturali inglesi e olandesi con sottolineati rapporti con la massoneria; ma anche limitando fortemente la natura di quel radicalismo dato che nella proposta della Jacob «l’illuminismo dei radicali assume, almeno in parte, i connotati di una illuminazione sapienziale e segreta per pochi iniziati, piuttosto che quelli delle Lumières che, almeno potenzialmente sono disponibili per tutti, secondo la lezione baconiana e, almeno in questo caso sicuramente, cartesiana». Senza dimenticare la forzatura dei testi, la perdita della pluralità e della eterogeneità, in nome di una «mitologia della coerenza», la scarsa valutazione delle nuove scienze la «retroproiezione» di idee politiche del Novecento. Limiti che fanno perdere notevole valore alla proposta della Jacob, forse persino fuorviante.
Non è possibile seguire i molti altri sentieri lungo i quali ci conduce Carlo Borghero: ma sarà necessario ricordare almeno le precise considerazioni sul rapporto fra cultura cinquecentesca e libertinismo, le indicazioni sulle varie forme di cartesianesimo e la loro diversificata presenza nella cultura europea del Seicento e del Settecento, l’originale riferimento all’opera di Fontenelle – in particolare all’Origine des pables – alla nascita della moderna antropologia, sino all’analisi delle diverse valutazioni dell’Illuminismo nella storiografia (e ideologia) più recente.
Nel complesso si tratta dunque di un fascinoso viaggio sulle vie della modernità, senza schematismi o alberi genealogici ben ridefiniti, con il senso della diversità che è compito dello storico far risaltare. Torna qui a proposito quanto lo stesso Borghero scriveva a margine di un convegno parigino del 2004 che «esprimeva nella felice espressione scelta come titolo (Un secolo di duecento anni) il risultato delle discussioni storiografiche sulla periodizzazione dell’età moderna: un lungo periodo attraversato da una pluralità di correnti intellettuali che si presentano, scompaiono, ritornano. Una successione di continuità e discontinuità, nelle quali è difficile trovare le condizioni di una narrazione unitaria. Ma non c’è da dubitare che una ragione storiografica pigra continuerà a tenere in vita i suoi fantasmi». Contro questi fantasmi e la ricorrente pigrizia può servire come ottimo antidoto il presente volume.
Carlo Borghero, Interpretazioni, categorie, finzioni. Narrare la storia della filosofia, Le lettere, Firenze,
pagg. 534, € 38
© Riproduzione riservata