Arriva puntuale ogni quattro anni questa strana sospensione del tempo, il Campionato mondiale di calcio, a ritmare le nostre esistenze. Anche quelle di chi odia e dribbla il football. Russia 2018 inizia il 14 giugno, con la partita inaugurale tra i padroni di casa e l’Arabia Saudita. La finale si disputa a Mosca il 15 luglio. Trentadue squadre prendono parte alla festa, con le imbarazzanti assenze dell’Italia, quattro volte campione del mondo, dell’Olanda, tre volte finalista, e del Camerun, vincitore della Coppa d’Africa. Per una generazione di italiani, il primo appuntamento con il torneo è rimandato, facendo gli opportuni scongiuri, all’enigmatica edizione di Qatar 2022.
La forza dei Mondiali in fondo è proprio questa: l’essere il segnalibro non ufficiale delle nostre vite. A distanza di anni infatti il puro evento sportivo scolora, anche se alcune partite entrano di diritto nella leggenda dello sport. Rimangono invece ancorate nella memoria le emozioni, il come eravamo di quel mese in cui il pallone rotolava senza sosta.
In seguito agli imprevedibili palleggi del destino, alcuni Mondiali coincidono con vere e proprie svolte epocali. Italia ’90 fu il primo grande evento sportivo dopo la caduta del muro di Berlino. E mentre si giocava negli stadi del Belpaese, la fantapolitica diventava realtà: nell’aria c’erano l’imminente riunificazione tedesca, la liberazione di Nelson Mandela, Lech Walesa alla presidenza della Polonia, il Nobel della pace a Gorbaciov.
Un paio di decenni dopo la Storia fece un’altra capriola e ripartì verso nuove, entusiasmanti direzioni: Sudafrica 2010 ci riporta alla mente la crescita economica dei Brics: la Coppa del mondo è riuscita a consolidare il suo fascino e il suo successo anche cavalcando l’onda impetuosa della globalizzazione. Grazie all’apertura di nuovi mercati, i diritti televisivi sono aumentati dai 112 milioni di dollari di Francia ’98 ai 2,4 miliardi di Brasile 2014.
Ora tutto ricomincia. Russia 2018 fa irruzione in un teatro mondiale innervosito dalla diffidenza reciproca e dall’incertezza. A seminare zizzania sono intervenute guerre informatiche e commerciali, la tragedia siriana, la costante minaccia del terrorismo. Il tutto mentre il presidente Vladimir Putin scommette invece sulla grande festa calcistica per rafforzare il prestigio internazionale della Russia.
Memoria individuale e collettiva, identità tribale, fenomeno economico e televisivo, elegante ed energico balletto. Il calcio è diventato tutto questo, è materia prima che in 90 minuti può essere sgrezzata e portare al capolavoro, oppure rivelarsi una mediocre recita da avanspettacolo. Ultimi esempi: i goal da antologia di Cristiano Ronaldo e Gareth Bale, attaccanti del Real Madrid, nella Champions League appena conclusasi. O le papere del portiere del Liverpool, Loris Karius, che ha fatto affondare la sua squadra, il Liverpool, nella finale contro gli spagnoli. Una cosa è certa: ogni partita, al fischio di inizio, sembra annunciare che il futuro è bello, mentre sugli spalti migliaia di persone, e davanti alle tv milioni di spettatori, aspettano che il futuro tanto sognato finalmente accada, e ci renda meno fragili e soli.
È questa insaziabile voglia di domani, di vita e di felicità, prima ancora della sete di guadagno, il carburante che ha permesso al fenomeno del calcio di affermarsi negli anni. Nel corso di poco meno di un secolo, da Uruguay 1930 a Mosca 2018, la Coppa del mondo è diventata fenomeno identitario, sociale ed economico. Tanto da ben meritare l’attenzione della storiografia, senza più le alzate di spalle per una pratica culturale poco nobile, o per un oggetto di studio considerato troppo popolare. Riccardo Brizzi e Nicola Sbetti sono gli autori di Storia della coppa del mondo di calcio (1930-2018), politica, sport, globalizzazione (Le Monnier). Dopo aver ricostruito la nascita di un sistema di regole codificato, in particolare nella Gran Bretagna del diciannovesimo secolo, il libro si lancia nel racconto, molto ben documentato, dell’epopea dei Mondiali. Tra ricchezza di dati, contesti storici ben restituiti, riferimenti di cronaca e di costume, il pallone rimbalza sempre più in alto e i Mondiali, da semplice evento sportivo, rivelano tutto il loro peso specifico in ambito economico, mediatico e soprattutto politico.
La lezione che viene da una prospettiva storica applicata alla Coppa del mondo è chiara. Il torneo non è mai stato un passivo evento sportivo che si è svolto sullo sfondo di un determinato contesto storico. Del contesto storico i Mondiali sono stati ogni quattro anni il prodotto. A loro volta, i Mondiali possono modellare, grazie alla loro popolarità, le vicende politiche e sociali. E così il pallone diventa un filo conduttore che si dipana dai totalitarismi degli anni 30 del Novecento al periodo della guerra fredda, dalla decolonizzazione al trionfo dell’era televisiva, dall’emergere di nuove potenze economiche mondiali alla difficile gestione degli interessi, sempre più rilevanti, mossi dal gioco più bello del mondo.
Come ricostruiscono Brizzi e Sbetti, il calcio è sicuramente un fenomeno moderno, affermatosi già nell’Inghilterra vittoriana. A lungo relegata in panchina, la modernità torna ora in campo da protagonista. Russia 2018 utilizzerà per la prima volta nel torneo mondiale la tecnologia Var, la video assistenza che permette all’arbitro di consultare le immagini di gioco per evitare possibili erronee decisioni nei casi più controversi, una tecnologia già sperimentata nel campionato italiano di serie A. L’occhio elettronico dà la misura di quanto il calcio sia diverso rispetto alle prime codificazioni di metà 800, quando nelle public schools, gli elitari e costosi istituti inglesi, la figura dell’arbitro era rifiutata in quanto presupponeva l’idea che qualcuno potesse barare.
Con la tecnologia alleata degli arbitri alcuni episodi leggendari della storia dei Mondiali non sarebbero mai esistiti: dal goal di mano di Maradona in Inghilterra-Argentina del 1986 al goal fantasma dell’Inghilterra nella finale mondiale del 1966 contro la Germania. Un antenato della Var permise all’assistente dell’arbitro Horacio Elizondo di “vedere” la testata di Zidane a Materazzi nella finale di Germania 2006. Ora la storia continua e sarà scritta in uno stile forse meno umano e più tecnologico, ma sempre affascinante e pieno di incognite. Buon Mondiale a tutti.
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