Che cosa può accomunare Franca Viola (la prima ragazza siciliana a rifiutare il «matrimonio riparatore»), Elena Gianini Belotti (precursora dei gender studies), Amelia Rosselli (poetessa), Carla Accardi (pittrice astrattista), Mira Furlani (impegnata nella comunità dell’Isolotto di Firenze), Carla Lonzi (critica d’arte e artefice del Manifesto di rivolta femminile), Letizia Battaglia (fotografa), Giovanna Marini (cantautrice), Rossana Rossanda (intellettuale marxista, tra i fondatori del «manifesto»), Margherita Cagol (brigatista, moglie di Renato Curcio), Annabella Miscuglio (cineasta), Patty Pravo (cantante), Tina Lagostena Bassi («avvocata», come lei stessa si faceva chiamare), Perla Peragallo (attrice teatrale), Mariuccia Mandelli in arte Krizia (stilista) ed Emma Bonino (esponente radicale)?
Di anagrafe, estrazione sociale, provenienza geografica e formazione culturale disparate, queste sedici donne hanno tutte attraversato la temperie del Sessantotto, lasciando qualche traccia di sé. Donne «nel Sessantotto», come recita il titolo del libro che ora le ritrae in altrettanti medaglioni, non necessariamente donne del Sessantotto, ossia «sessantottine» in senso stretto. La protesta, infatti, non sbocciò come un fiore nel deserto, ma fu il risultato di una lunga incubazione i cui effetti si estenderanno ben oltre il fragore del momento. In altre parole, non coincise con i suoi attivisti a tempo pieno.
Franca Viola, alla fine del ’65, era solo una bella ragazza di Alcamo. Però la sua coraggiosa ribellione ebbe il merito di squarciare il velo sull’arretratezza civile di un pezzo significativo d’Italia. Rapita e stuprata dall’ex fidanzato, si rifiutò di sposarlo, facendolo addirittura condannare da un Tribunale della Repubblica, nonostante fosse il nipote di un noto mafioso locale. Quando avanziamo critiche legittime e talvolta sacrosante al Sessantotto e alle sue indubbie degenerazioni, non dovremmo mai dimenticare cosa fosse il «mondo di ieri». Un milieu in cui epiteti crudeli («ragazza madre» e «zitella»), norme giuridiche aberranti (il cosiddetto «matrimonio riparatore», cancellato dal codice penale soltanto nel 1981) e strofe qualunquisteggianti («chi non lavora, non fa l’amore») rispecchiavano una concezione puramente ornamentale dell’altra metà del cielo, che in fondo neppure la stampa comunista metteva in discussione.
Non a torto, dunque, questo volume (promosso da Controparola, gruppo di giornaliste e scrittrici sorto nel 1992 intorno a Dacia Maraini) si apre proprio con Franca Viola, mentre si chiude con Emma Bonino che, sfruttando alcune istanze emerse in quegli anni – divorzio e aborto in primis –, si costruirà una brillante carriera politica (a firmare entrambe le voci è Claudia Galimberti). Se Viola (l’antesignana) e Bonino (la militante trasformatasi in politica di professione) rappresentano l’alfa e l’omega di questo mosaico femminile, le altre quattordici testimoni riflettono ciascuna una tonalità distinta di quella stagione. In fondo, come ha osservato un’altra veterana, Giovanna Pompili Olivieri, qui citata di sfuggita, il Sessantotto è stato un grande utero, «perché ognuno di noi aveva trovato il modo di partorire un altro se stesso».
Patty Pravo, la «Beatle italiana» (Renzo Arbore), dispiega nel profilo a lei dedicato la propria anima libertaria. Giovanna Marini, «la Marianna del canto popolare italiano», valorizza le nostre tradizioni canore più iconoclaste. Letizia Battaglia, la fotografa dei morti di mafia, documenta senza retorica una realtà orribile. Elena Gianini Belotti affronta in un libro pionieristico le differenze di genere (Dalla parte delle bambine, 1973). Krizia scopre la vera eleganza nella semplicità degli abiti. Tina Lagostena Bassi, l’avvocata delle donne, sfida un muro granitico di pregiudizi maschilisti. Una sua arringa rifulgerà nel «processo per stupro», un documentario mandato in onda per la prima volta nel 1979, in cui difendeva una ragazza violentata dal branco. Durante il dibattimento, scrive Cristiana di San Marzano, «avvocati senza scrupoli, privi di qualsiasi briciolo di pietà, inquisivano la vittima sulla sua vita privata», ricorrendo a ogni «volgare cavillo» pur di screditarne l’attendibilità.
Ma il Sessantotto al femminile non fu soltanto creatività, emancipazione e più diritti per tutte. In questa rassegna c’è anche una fanciulla di buona famiglia, cattolica praticante, «finita crivellata mentre credeva di lottare contro il capitalismo», come scrisse il «manifesto». Si tratta della brigatista Mara Cagol, nata a Sardagna (un pugno di case sopra Trento) e morta a trent’anni il 5 giugno 1975 sulle colline del Monferrato durante un conflitto a fuoco con i carabinieri. Nella nuova facoltà di Sociologia di Trento, come spiega Chiara Valentini, la Cagol respirò un clima anticonformista, si laureò con Francesco Alberoni (allora su posizioni progressiste) e incontrò il futuro marito Renato Curcio, imboccando infine, per eccesso di idealismo, una strada senza ritorno. Purtroppo, diventerà un esempio da seguire per numerose altre donne entrate nella lotta armata.
Rossana Rossanda rappresenta un caso ancora diverso. Quando esplose il Sessantotto aveva già 44 anni e un curriculum di tutto rispetto, dalla Resistenza a dirigente del Pci. Ma soltanto dopo l’«anno degli studenti», cui aderirà con entusiasmo, scoprirà il femminismo. Radiata dal partito nell’autunno ’69 insieme a tutto il gruppo del «manifesto» per aver criticato da sinistra il «socialismo reale», nella sua seconda vita diventerà un punto di riferimento per il movimento delle donne. Incontrata da Eliana Di Caro a Parigi, la «ragazza del secolo scorso» rievoca eventi, incontri e amici «con memoria di ferro e l’aria intransigente di chi non fa sconti a nessuno, prima di tutto a se stessa».
Peccato che questo tomo ricco e variegato non abbia accolto qualche figura non allineata al Sessantotto. Lo spirito di un’epoca può essere illuminato anche dai suoi oppositori. Pensiamo non tanto ad una Oriana Fallaci – «solipsista», come rileva Maria Serena Palieri nell’introduzione, ma a quel tempo con il cuore ancora a sinistra –, quanto a una poetessa e scrittrice controcorrente quale Cristina Campo (1923-1977). Compagna di Elémire Zolla, interlocutrice di Bobi Bazlen, Guido Ceronetti e Sergio Quinzio, paladina del canto gregoriano e della messa in latino, nemica della società moderna e insieme ammiratrice di Danilo Dolci, nella sua breve esistenza rimase immune dalle tempeste sibilanti intorno a lei. Nel 2002 Cristina De Stefano le ha dedicato un’affascinate biografia adelphiana (Belinda e il mostro).
AA.VV., Donne nel Sessantotto, il Mulino, Bologna, pagg. 312, € 23. Nella stessa serie, sono già usciti tre volumi dedicati rispettivamente alle donne del Risorgimento, della Grande Guerra e della Repubblica
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