Pasquale Stoppelli, autorevole conoscitore del teatro di Niccolò Machiavelli, ha pubblicato una nuova edizione della Commedia in versi generalmente attribuita a Lorenzo Strozzi sostenendo che essa debba essere invece attribuita a Machiavelli. Non si tratta di una tesi di poco conto: il teatro è una dimensione essenziale della personalità del Segretario e una chiave di accesso fondamentale al suo pensiero. La proposta di riconoscergli la Commedia in versi è dunque importante.
Stoppelli procede nel suo lavoro con gli strumenti del filologo, ma soprattutto parte da un dato di fatto inoppugnabile: «Machiavelli – scrive – è uno scrittore ricorsivo quanto a lessico, sintagmi, associazioni verbali, modi sentenziosi». Ed è vero: chiunque abbia pratica dei suoi testi sa che le cose stanno così.
Su questa base Stoppelli nell’apparato che accompagna il testo fa un lavoro notevole mostrando come lemmi, espressioni, sentenze presenti nella Commedia siano presenti in altre opere di Machiavelli: ciò che gli consente, prima, di poggiare su fondamenta rigorose la sua proposta; poi, di avanzare ipotesi sia sulla data di composizione della Commedia che sulla sua rappresentazione, a Firenze, di fronte ai Medici.
Per Stoppelli, «il 1510 deve essere assunto come terminus post quem per la composizione della Commedia in versi», e i mesi tra il 1512 e il ’13 sono «la data più probabile di conclusione» del testo. Non è questa però, a suo giudizio, la data di compilazione del fascicolo autografo di Machiavelli incluso nel ms. Banco Rari 29 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (A) che poi Lorenzo Strozzi ha ricopiato, facendo anche alcune modifiche al testo originario (B). Tale data, sostiene Stoppelli analizzando la grafia di Machiavelli, va collocata dopo il 1517, quando Strozzi, molti anni dopo la composizione e una prima rappresentazione della commedia in forma ridotta avvenuta forse nel 1512, ne allestisce un’altra in onore dei signori di Firenze.
È da questo sovrapporsi di eventi e di situazioni che è sorta, secondo Stoppelli, la tradizione che ha attribuito, con la sua complicità, la paternità della commedia a Lorenzo Strozzi, cui però Machiavelli doveva non poco: fu lo Strozzi a farlo entrare, nel 1520, in casa Medici dopo tanti anni di ostracismo. E ciò ne spiegherebbe il silenzio, anzi il disinteresse: era ormai impegnato in altre cose.
Come si vede, è una proposta interessante. Resta da capire se sia condivisibile. Né è facile dare una risposta: bisognerebbe rifare il cammino di Stoppelli e lavorare in primo luogo sulla grafia di Machiavelli. Sono proprio le scelte grafiche del Segretario che consentono infatti a Stoppelli di sostenere che A non può risalire a prima del 1517.
Comunque, sulle convergenze di punti essenziali della posizione generale di Machiavelli con la Commedia in versi non ci sono dubbi. Un esempio: nel Prologo l’autore si presenta alla ricerca di strade nuove, in esplicita polemica con quelli che seguono i vecchi sentieri, senza alcuna autonomia critica. Sono temi tipici di Machiavelli che rivendica sempre la scelta di andare contro le opinioni correnti per guardare al futuro. Come dice Guicciardini, Machiavelli era «plurimum extravagante [...] et inventore di cose nuove».
Ci sono, al tempo stesso, motivi di ordine concettuale su cui è possibile individuare una distanza dell’autore della Commedia da Machiavelli: ad esempio nell’enfasi – in modi scontati, ordinari, a differenza della Mandragola – sul potere dell’uomo, o della donna, nel riuscire a realizzare i propri disegni.
È un punto delicato: come si vede nel Ghiribizzo al Soderino – un testo al quale non verrà mai meno – in Machiavelli il rapporto tra virtù e fortuna ha sempre un timbro tragico, e il potere della fortuna tende sempre a prevalere sulla virtù dell’uomo. Perfino nel Principe – nel quale cerca con energia di salvaguardare il libero arbitrio – pur riconoscendo che la fortuna «arbitra della metà delle azioni nostre [...] ne lasci governare l’altra metà [...] a noi», si precisa subito: «o presso», ribadendo di fatto il potere della Fortuna.
È comprensibile che questo timbro non sia presente nella Commedia in versi, se essa risale al 1512 – quando Machiavelli non era stato ancora definitivamente travolto dalla sconfitta. Mentre, e questo confermerebbe l’ipotesi di Stoppelli, si possono comprendere le affinità – soprattutto per la sporgenza autobiografica, tipica di Machiavelli – tra il Prologo della Mandragola e quello della Commedia in versi, composto in occasione della messa in scena della commedia, cioè nel 1518, l’anno, per Stoppelli, «maggiormente indiziato».
In effetti, tra le due commedie corrono anni decisivi, segnati da esperienze traumatiche per Machiavelli. Ma già in testi scritti prima del 1512 una considerazione tragica della condizione umana era ampiamente presente. E come è noto nella sua prima esperienza teatrale – le Maschere – il Segretario aveva suonato tasti assai diversi.
Naturalmente è possibile che Machiavelli, che amava lo scherzo e si divertiva con la brigata degli amici – i quali si lamentavano quando non era presente perché senza di lui si annoiavano –, abbia voluto scrivere un testo giocoso, gradevole, senza impegno, per puro divertimento: a bassa temperatura, senza particolare originalità; per trascorrere una serata. E questo porterebbe ad accettare la proposta di Stoppelli, togliendo peso alle discrasie concettuali, e dando, per contrasto, valore al Prologo, che scaturisce da tutt'altra temperie esistenziale, culturale, politica. Per darla per acquisita bisogna però che le scoperte della filologia convergano in modo più pieno con le ragioni della storia, come riconosce Stoppelli.
Qualunque sia il giudizio, un fatto comunque è certo: la vicenda della Commedia in versi contribuisce a una miglior conoscenza della vita culturale e politica fiorentina dei primi decenni del Cinquecento.
Commedia in versi Da restituire a Niccolò Machiavelli
A cura di Pasquale Stoppelli
Edizione critica secondo il ms. Banco Rari 29. Edizioni di Storia e letteratura, Roma, pagg. 144, € 21
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