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Nelle magistrature pari opportunità in crisi

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Nomine & gender equity

Nelle magistrature pari opportunità in crisi

(Ansa)
(Ansa)

Nel 1963, con la legge numero 66, le laureate in Giurisprudenza poterono accedere al concorso in magistratura, sino a quel momento precluso alle donne come tutte le cariche e impieghi pubblici: lo vinsero in 27, cioè il 6% del totale. Fu una rivoluzione, arrivata sedici anni dopo il tentativo di Teresa Mattei che all’Assemblea Costituente vide bocciare – attraverso un voto segreto – un emendamento all’articolo 51 che avrebbe sancito il diritto delle donne ad accedere «a tutti gli ordinamenti e gradi della magistratura».

Oggi le cose sono radicalmente diverse: al 5 marzo 2018, secondo un’indagine dell’ufficio statistico del Csm, le magistrate sono 5.061, pari al 53% circa (con un’età media di 47 anni) a fronte di 4.482 colleghi (età media, 51). Un sorpasso iniziato già nel 2015.

Di fronte a uno scenario del genere, suscita ancora più sconcerto la scelta del Parlamento di nominare solo uomini quali “membri laici” del Csm, dei consigli di garanzia delle magistrature amministrativa, tributaria, contabile, e per un posto di giudice costituzionale: 21 posizioni in tutto, occupate appunto ora da 21 uomini. L’indicazione è di natura politica (le designazioni non scaturiscono da un concorso o da analoghe selezioni per merito) e immediatamente sorge, retorica, la domanda: il Parlamento - peraltro il Parlamento del cambiamento, come quasi ogni giorno sottolinea la maggioranza di governo - non è riuscito a trovare alcun profilo di donna altrettanto competente e qualificata per quei ruoli? Di qui l’iniziativa di 65 costituzionaliste di scrivere una lettera aperta ai presidenti delle Camere – Elisabetta Alberti Casellati e Roberto Fico – per esprimere «il nostro stupore e le nostre preoccupazioni di fronte a questa decisione adottata in aperta violazione dell’art. 51 della Costituzione, che assicura a uomini e donne il diritto di accedere in condizioni di uguaglianza agli uffici pubblici e che, a tal fine, affida alla Repubblica il compito di adottare appositi provvedimenti».

Le promotrici hanno poi reso possibile l’adesione alla lettera dei colleghi costituzionalisti e di chiunque volesse manifestare dissenso per il «grave vulnus costituzionale» e chiedere ai due presidenti di «avviare una riflessione sugli interventi, anche regolamentari, necessari per evitare che una simile situazione possa ripetersi in futuro», attraverso una petizione che in pochi giorni ha raccolto oltre 460 firme (consultabile qui: https://www.petizioni24.com/adesione_alla_lettera_delle_costituzionaliste_ai_presidenti_delle_camere_del_23_luglio_2018).

Tra le 65 firmatarie non poteva mancare Lorenza Carlassare, classe 1931, prima donna ordinaria di Diritto costituzionale in Italia, all’Università di Padova, più volte data per certa come giudice della Corte costituzionale (in realtà «non ero gradita perché orribilmente indipendente», osserva al telefono). Questo «ventuno a zero è impressionante perché di donne brave e qualificate ce ne sono tantissime, non si può dire che non avessero una scelta ampia. L’iniziativa della lettera aperta dimostra come il problema dell’uguaglianza sia sentito da tutti i costituzionalisti, perché l’uguaglianza è uno dei principi cardine delle democrazie costituzionali e non si può rompere né riguardo al sesso né riguardo a qualsiasi qualificazione della persona». Sull’idea che possa pesare un fattore culturale che penalizza l’universo femminile, Carlassare sostiene che «qualcosa agisce nel subconscio e non è nemmeno avvertito come tale. Inoltre gli uomini sono più abituati a “muoversi” sul terreno istituzionale, hanno maggiore dimestichezza con certe dinamiche, mentre le donne non si spendono per promuoversi».

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