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Che carattere le donne di Teheran!

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la voce di Zahra Abdi

Che carattere le donne di Teheran!

(Afp)
(Afp)

Due donne - una più giovane alla ricerca di un posto nella vita, una più matura in fuga da una perdita - l'esistenza delle quali è condizionata da una terza donna, anziana, madre della prima e mancata suocera della seconda: conservatrice, infelice, in perenne attesa di un figlio che non tornerà.

Tutte e tre sono legate da un uomo che non c'è, appunto, e tutte e tre sono nate e cresciute a Teheran, sul cui sfondo si sviluppa la storia. Ma è ovviamente più di uno sfondo. Un intreccio fatto di questi personaggi, con queste caratteristiche poteva dipanarsi solo nella capitale iraniana, con le sue leggi, le sue tradizioni e i suoi vincoli sociali.

A Tehran le lumache fanno rumore, di Zaha Abdi, porta il lettore in quel pezzo di mondo in modo sincero e ironico, a volte divertente, a tratti anche poetico. Si seguono le vicende di Shirin: 29 anni, timida, parla con il Fanciullino che è in sé e la segue ovunque, pronta a rimbeccarla. Si decide ad andare da Afsun, psicologa e fidanzata di suo fratello Khosrou prima che lui scomparisse nel nulla, a parlarle, a raccontarle che la madre da quel giorno - sono passati 22 anni - chiude a chiave la stanza del ragazzo e ci entra solo lei, quasi fosse un luogo sacro e inquietante. Ma Afsun fa in modo di evitare l'appuntamento. Ha riconosciuto la sorella di Khosrou e non se la sente di affrontarla. Il suo problema è gestire gli attacchi di panico e controllare l'istinto alla fuga davanti alle situazioni che pensa di non riuscire a reggere, lei che non solo è una psicologa ma anche una anchorwoman di successo: in tv conduce un programma molto seguito in cui dà consigli al pubblico sulla sua specializzazione. Ma di notte Khosrou la raggiunge in sogno, l'albero di noce al confine tra le loro case e simbolo della loro unione torna a scuotersi.

Chi aveva rallentato lo scambio di lettere tra i due fidanzati? La mamma di Khosrou (e Shirin), che disapprovava quegli incontri, trovava spregiudicati i colori degli abiti di Afsun. Così come ora non condivide i film che le propone Shirin - il cinema è un vero e proprio rifugio e alimento dell'anima, per la ragazza - se non sono “purgati”. E non tollera che nessuno varchi la soglia della stanza del figlio, partito in guerra contro l'Iraq. Prima o poi tornerà: non sembra essere solo una speranza la sua, non contempla proprio l'idea che possa non essere così. Pagina dopo pagina, si entra nella quotidianità delle protagoniste, se ne capiscono le ragioni, si condivide la loro fatica a fare i conti con il dolore per l'assenza di Khosrou. Emergono, nell'alternanza dei punti di vista espressi in prima persona - il libro è scandito da capitoli che portano il nome di Shirin e Afsun - la forza e la consapevolezza che ciascuna delle figure conquista nei confronti di se stessa.

Non mancano elementi di sarcasmo rispetto a certi schemi e convenzioni («La Fiera è piena di gente che durante l'anno non sfoglia nemmeno un libro»), di denuncia di meccanismi radicati che non si riesce o non si vuole debellare («Spiare sul posto di lavoro, in macchina, a casa, in borsa, al computer è diventato uno sport comune»), di desiderio di emancipazione che supera leggi e tradizioni («Mamma sta venendo nella mia stanza. Prima che arrivi e veda la pagina di Facebook con la mia foto senza velo in testa e mi metta in punizione per una settimana, apro svelta un file Word»).

L'autrice, nata nel '74 a Teheran, ora in Canada con sua figlia, fa parte di una generazione di scrittrici - più note sono Sārā Sālār e Mahsā Moheb 'ali - che negli ultimi anni si è affermata sulla scena letteraria. Come ha scritto la traduttrice Anna Vanzan nella postfazione, «le prosatrici degli anni Duemila stanno contrapponendo al canone ufficiale e unidimensionale della letteratura di guerra una narrativa in cui alla mera celebrazione degli avvenimenti bellici si sostituiscono ricordi che decostruiscono il genere, proponendo riflessioni personali, frammenti di vita vissuta, considerazioni sul fatto che, per le donne, la guerra non finisce mai, perché si trasferisce dal piano della lotta esterna a quello della lotta quotidiana in ambito sociale e familiare».

Dalla lettura di A Tehran le lumache fanno rumore si esce con questa sensazione, accompagnata dalla percezione della volontà di migliorare la propria condizione anche quando si è responsabili di scelte infelici (Afsun è ingabbiata in un matrimonio che non funziona), da un grande amore per il cinema (tantissime le citazioni di film) e dalla ricorrente presenza delle noci, simbolo che ritorna in tutto il libro.

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