Cultura

L’attualità politica del Leopardi resistente

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Nation building

L’attualità politica del Leopardi resistente

Quanto il Leopardi politico sia utile per afferrare il fondo roccioso dei caratteri nazionali è concetto abusato. Altrettanto si può dire a proposito dell’ammirazione di cui egli godette presso i patrioti impegnati nelle guerre risorgimentali. Ma quanto le sue idee abbiano nel tempo acquisito peso e vigore indica che i problemi sollevati sono rimasti inevasi e si sono aggravati nelle fasi travolgenti della trasformazione nazionale.

Dal dialogo fra Leopardi e uno dei massimi costituzionalisti italiani è nato un libro asciutto, mai spavaldo e a tratti perfino doloroso per la lucidità con la quale il poeta e il suo interprete si confrontano. Si tratta di un’analisi del sistema d’idee leopardiano sulle cui tracce Massimo Luciani è tornato a più riprese, e che ora egli riannoda in un ragionamento che mette alla prova la tenuta della filosofia leopardiana e mostra quanto essa fosse attenta alle debolezze endemiche degli italiani anche prima che essi potessero riconoscersi in una Nazione. Una Nazione costruita attraverso una geometria internazionale che alimentò il motore della rivoluzione politica che ne fu alla base, ma che impedì il compimento della rivoluzione sociale promessa.

Le suggestioni che arrivano da una lettura leopardiana in campo largo come quella proposta da questo lavoro sono largamente tratte dallo Zibaldone, e tutte affondano nella convinzione del poeta che la lunga durata riveli l’invariabilità dello sfondo sul quale si rappresenta la vicenda nazionale. Uno sfondo, il nostro, irremovibile anche al mutare del teatro, e verso il quale ogni possibile intervento è parso inutile a scalfirne la fissità.

Opportunamente nelle prime pagine del volume Luciani propone un parallelo fra il Satta del De Profundis e alcuni passaggi del Discorso leopardiano. Sebbene scritti in snodi sideralmente diversi della vicenda nazionale, essi paiono entrambi illuminare le mancanze della nostra psicologia sociale e la fragilità del nostro ethos. Ma mai, in Leopardi o in Satta, il confronto con i caratteri costitutivi della Nazione è rubricabile a superciliosa freddezza nei confronti dei travagli italiani. In Leopardi, suggerisce Luciani, l’intersezione fra soggettività e distacco trova un punto di equilibrio ineguagliabile. Egli indaga con appassionata tenacia, cui si mescola in modo imprevedibile una sofferenza nell’elencazione dei retaggi che costruiscono i nostri caratteri. Per Leopardi tale osservazione non è mai una scorciatoia per assolvere le debolezze di un Paese che non era ancora tale. Non c’è nella tristezza rivelatrice del problema una forma di rassegnato e malinconico conservatorismo, né la necessità di marcare una differenza tra l’osservatore e l’oggetto osservato. Ci sono, invece, un invito alla lotta e l’anticonformistica presa d’atto che quei caratteri avrebbero finito per incrociarsi e, quindi, dovessero essere individuati e affrontati, perché solo così sarebbe stato possibile rettificarne l’opaca e fangosa resistenza.

«La rigenerazione» (Zib.) auspicata da Leopardi – osserva Luciani – avvenne quando, dopo la soluzione di continuità (non dello Stato, ma delle classi dirigenti) determinata dalla Seconda guerra mondiale e dalla guerra civile, il Paese fu nuovamente di fronte alle idealità del suo incompiuto Risorgimento. Quel momento fu la Costituente arrivata dopo un’intensa stagione di patria ritrovata. Rispetto all’insieme della precedente storia nazionale quella evenienza cadde nelle condizioni migliori per inverare l’auspicio della creazione di strutture capaci di correggere tare secolari. Ebbene, tale edificio fondato sulla precarietà genetica derivante dalla formazione dell’Unità sarebbe stato messo in discussione dalla rottura della dimensione nazionale nella quale poteva compiersi. La compatibilità di quel sistema con le trasformazioni della vita internazionale – e in particolare con l’accelerazione della costruzione europea – si è andata assottigliando e ha finito per far saltare o dimidiare i meccanismi solidaristici contenuti nella Costituzione. La natura dei volontari vincoli europei e la risoluta ascesa del vangelo neoliberale hanno determinato lo spostamento di una parte del complesso decisionale fuori dei confini nazionali quando ancora il processo di nation-building non aveva compiuto i suoi passi definitivi.

Ma è la blasfema caricatura in cui l’Italia contemporanea è precipitata che sembra eternare la profetica visione leopardiana, che ripudiava il cosmopolitismo come elemento costitutivo di uno Stato privo di una coscienza civile adeguata a elaborare gli impulsi esterni. «La civiltà delle nazioni consiste in un temperamento della natura colla ragione, dove quella cioè la natura abbia la maggior parte» (Zib.). Privi di tale compensazione, di un interesse comune e di una patria, è arduo pensare universalisticamente. I retrivi conati nazionalpopulisti fanno intravedere la luminosa attualità di quel geniale intuito politico.

mauro.campus@unifi.it

Lo sguardo profondo. Leopardi, la politica, l’Italia, Massimo Luciani, Mucchi Editore, Modena, pagg. 132, € 13

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