Vienna. L’esotico, come ogni ricerca, affascina e sviluppa, ricrea e rigenera. E quando come una contagio ammalia interi popoli il risultato non può essere che densamente proficuo. “Questa non è una fascinazione, è passione, è follia”, scriveva Ernest Chesneau - dopo i fasti della parigina Esposizione Universale del 1878 che aveva celebrato le importazioni d’oriente - fissando la vera e propria mania che colpì la borghesia della capitale francese per le eleganti ed esotiche stoffe (protagoniste del “volto” della della mostra con lo splendido kimono de La Parisienne Japonaise di Alfred Stevens, proveniente dal Musée des Beaux -Art de la Boverie di Liegi) tessuti, manufatti e soprattutto stampe provenienti dal Sol Levante. D’altronde era naturale che dopo secoli e secoli di voluto isolazionismo - interrotto nel 1854 con l’apertura nipponica ai commerci con l’Ovest - il fascino d’oriente imperversasse dai porti ai salotti più eleganti. E la Parigi d’allora, fu la prima fra le capitali europee a inebriarsi per il gusto orientale che divenne una moda cangiante a seconda delle declinazioni che ne fecerò artisti e salotti dei vari paesi.
Il verbo si diffuse nel vecchio continente alla velocità delle avanguardie e con interpreti che da Claude Monet a Vincent Van Gogh, da Paul Guaguin a Edgar Degas e Henry de Toulouse-Lautrec (tutti collezionisti di manufatti e stampe orientali, il solo Van Gogh ne vantava 600, molti dei quali ancora presenti nelle collezioni museali a lui dedicate) ne profusero la lezione con i risultati ben noti alla grande Storia dell’arte. Vienna non sfuggì certo alla malìa nipponica che i suoi artisti interpretarono nel segno certamente caratterizzante dell’attrazione per il colore piatto, ben lontano dal chiaroscuro e una prospettiva minimale. Lezione cui la stessa Secessione attinse a piene mani e che è al centro della mostra Faszination Japan: Monet. Van Gogh. Klimt. (fino al 20 gennaio 2019 al Bank Austria Kunstforum di Vienna).
A rappresentare l’abbraccio fra Secessione viennese e Oriente sono in mostra di Kolo Moser i suoi November del 1902 e Illustrazione da Ver Sacrum e la delicata e potente Veduta del Lago del 1911 dalla Ernst Plio di Vienna, mentre di Gustav Klimt sono ospitate le Ondine del 1902 provenienti dalla collezione di Bank Austria Kunstsammlung, Vienna. E ancora fra gli oggetti di gusto prettamente nipponico presenti si segnalano la Teiera del 1901 e il Tagliacarte del 1902 di Josef Hoffmann del 1901, il vaso sempre di Kolo Moser del 1903. Sull’esempio delle stampe giapponesi in bianco e nero Le Coupe de vent del 1894, La carica, del 1893 e la Manifestazione sempre del 1893 e Le Mont Blanc di Felix Vallotton, insieme alla Jungfrau.
In catalogo il bellissimo Farfalle e papaveri proveniente dal Van Gogh Museum di Amsterdam e dallo stesso museo il ritrattto di Emil Bernard dedicato alla nonna, Divan Japonais del 1893, Cadieux e Aristide Briant dans son Cabaret sempre del 1893 di Henry de Toulouse Lautrec, la Revue Blanche di Pierre Bonnard, La classe di danza del 8173, proveniente dalla National Art Gallery di Washington.
Quanto alla rappresentazione di animali, così cara all’iconografia giapponese, i Pappagalli dell’aus tro-tedesco Ludwigh Heinrich Jungnickel del 1914 fanno da contraltare al Gatto Bianco di Franz Marc, che del genere è stato massimo interpete, proveniente dal Kunstmuseum Moritzbug Halle (Sale), Kulturstiftung Sachsen-Anhalt.
Una mostra che nel raccolto di poche sale fornisce per echi e attraverso le interpretazioni e opere fra gli altri dei grandi maestri giapponesi, KatsushiKa Hokusai, Kitagawa Utamaro e Ugawa Hiroshige, l’innamoramento di un’intera epoca per un mondo lontano, dalle cui raffinatezze non era possibile prescindere. Certo alcune assenze sono eclatanti: una fra tutte il Ramo di mandorlo in fiore dal Museo van Gogh. Ma la magia di questa mostra sta nella narrazione, affascinante essa stessa, che offre a partire dal titolo.
Faszination Japan: Monet. Van Gogh. Klimt. , fino al 20 gennaio 2019 al Bank Austria Kunstforum di Vienna
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