Quando nel 1935 Milton S. Mayer si recò a Berlino il suo obiettivo di corrispondente era di ottenere una ambita intervista con Adolf Hitler. Non ci riuscì. Certo non poteva immaginare che sarebbe tornato nel Paese a guerra conclusa e soprattutto che avrebbe scritto nel 1955 un originale studio della società tedesca ai tempi del nazismo. They Thought They Were Free – The Germans, 1933-1945 è stato appena ripubblicato negli Stati Uniti. A una lettura attenta, contiene straordinari richiami all’attualità politica e si rivela un utile strumento di analisi per capire le vicende contemporanee.
Di origine ebraica e tedesca, Mayer appartiene a una schiera di studiosi americani della Germania nazista. Mentre Saul K. Padover in L’anno zero (Utet, 2004) si ispirò ai suoi ricordi di soldato americano e William S. Allen in Come si diventa nazisti (Einaudi, 2014) utilizzò statistiche elettorali e sociali, Mayer scelse di investigare le esperienze individuali, intervistando dieci uomini, «dieci piccoli nazional-socialisti».
Gli intervistati appartengono tutti o quasi alla piccola borghesia: bancari, insegnanti, negozianti, artigiani, poliziotti, studenti. Conosciamo il fascino che il carisma del Führer suscitò su un popolo frustrato dal Trattato di Versailles e impoverito dalla Grande Depressione, così come i meccanismi di irregimentazione che segnarono la Germania di quel periodo. Più interessante è capire come e perché i tedeschi assecondarono il crescente e visibile autoritarismo del regime nazista.
La risposta è contenuta nel titolo del libro. Almeno all’inizio, il nazismo offrì ai tedeschi l’impressione illusoria di maggiore libertà. Liberi dalle sanzioni imposte alla Germania dopo la Grande Guerra. Liberi dalla presunta oppressione di un altrettanto presunto complotto giudaico-comunista-massonico. Liberi da una Repubblica di Weimar ritenuta corrotta ed inefficiente. Liberi da un mondo intellettuale lontano dalla kleine Leute. Liberi, in un contesto velleitario di autarchia economica.
Il legame di sangue divenne una forma di rassicurazione, un modo per creare una nuova Deutschtum, che doveva promuovere le virtù non intellettuali e proteggere il Paese dalle minacce esterne. Il Reich andava purificato, e lo studioso o il letterato non erano più persone fidate e rispettate, ma diventavano oggetto di sospetto e risentimento. Come non fare un paragone con il presente? In molti paesi, lo stesso euroscetticismo si traduce nel desiderio di liberarsi dagli impegni comunitari e ritrovare una probabilmente illusoria libertà.
Solo gradualmente, il regime nazista divenne autoritario e liberticida, sancendo «una separazione tra il governo e la sua popolazione». Senza accorgersene i tedeschi «sprofondarono in un mondo di odio e di paura, e chi odia e teme non si rende neppure conto di odiare e di temere; quando tutti sono trasformati, nessuno è trasformato», scrive Mayer. L’autore chiese ai suoi interlocutori perché questi non reagivano alle violenze crescenti. La risposta era che non vi era nichts dagegen zu machen, non vi era nulla che si potesse fare.
In realtà, quanto più gravoso è il sentimento di responsabilità di ciascuno di noi dinanzi a un evento, tanto più avremo la tentazione non di respingere ogni responsabilità, bensì di negarne la sua stessa esistenza. La spiegazione che l’autore dà del comportamento dei tedeschi dinanzi ai primi segnali di una uccisione sistematica degli ebrei è convincente, e può essere applicata oggi ad altri fenomeni politicamente più modesti e spesso tragicomici, a iniziare dalle ruberie quotidiane di cui siamo tutti in un modo o nell’altro testimoni. In fondo, in entrambi i casi, le ragioni sono da ricercare nella crisi della democrazia rappresentativa e nella sensazione diffusa che non tutti sono uguali di fronte alla legge.
Il libro di Mayer contiene non pochi moniti, soprattutto quando l’autore spiega che all’ascesa di Hitler contribuì anche la paura molto tedesca dell’accerchiamento, della «pressione esterna». Il Paese è stato definito nel tempo dalle invasioni nemiche, in modo non dissimile dall’Italia. Il Führer cavalcò questo sentimento nel prendere il potere a Berlino. Anche ai giorni d’oggi c’è chi evoca continuamente la minaccia esterna per rafforzare il proprio ruolo politico.
They Thought They Were Free. The Germans 1933-1945
Milton Mayer
University of Chicago Press, Chicago (1a ed. 1955), pagg. 378, $ 20
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