È la mostra dei ritorni. La rassegna I Macchiaioli - Arte italiana verso la modernità, inaugurata alla Galleria civica di arte moderna e contemporanea di Torino, dona luce e attenzione su un movimento del nostro
Ottocento troppo spesso trascurato da critica e pubblico e riporta il gruppo 24 ORE nel capoluogo piemontese. Lo ha sottolineato
durante la presentazione Federico Silvestri, ad di 24 ORE Cultura: «Il gruppo torna a Torino, polo di riferimento economico
e finanziario e centro nevralgico del Paese. Speriamo che questa collaborazione con la Gam sia l’inizio di un percorso caratterizzato
da valori che ci sono cari quali l’Italianità e l’eccellenza del made in Italy così evidenti nella parabola artistica dei
Macchiaioli, eccellenza italiana che seppe coinvolgere molte parti del Paese».
L’impegno della Gam e di Torino
A fare gli onori di casa il direttore della Gam, Riccardo Passoni, il presidente della Fondazione Torino Musei, Maurizio Cibrario
e la sindaca Chiara Appendino: «A vent’anni dalla mostra sui Macchiaioli che si tenne alla Mole Antonelliana, questa iniziativa,
nata dalla forte sinergia tra pubblico e privato, riesce a mettere a disposizione degli appassionati un importante patrimonio
culturale». Delle 80 opere in mostra (in foto, Cristiano Banti. In via per la chiesa, 1865 circa; courtesy Società di Belle Arti, Viareggio), una decina appartiene proprio alla Gam che così le valorizza anche
grazie alla intensa ricerca fatta per produrre questa rassegna, curata da Cristina Acidini e Virginia Bertone e arricchita
dal coordinamento tecnico-scientifico di Silvestra Bietoletti e Francesca Petrucci. La rassegna, organizzata e promossa da
Fondazione Torino Musei, Gam Torino e 24 ORE Cultura - Gruppo 24 ORE, resterà aperta fino al 24 marzo 2019 (ingresso intero
13 euro, ridotto 11 euro), e offrirà anche azioni creative per le scuole e per un pubblico adulto (per info: www.gamtorino.it).
Dagli esordi alla “macchia”
Siamo a metà Ottocento, il ’48 è alle spalle ma il fermento non manca e in un gruppo agguerrito di giovani artisti sorge un
forte senso di ribellione. Sono nati nell’Accademia ma se ne allontanano spinti dall’incalzare della Storia. I tempi sono
nuovi - è la modernità richiamata anche nel titolo della mostra - e sono necessari nuovi strumenti espressivi. Nel 1859, in
quella città liberale che era Firenze, si consuma una rivoluzione di velluto con la fine del regno del granduca Leopoldo II,
nel 1861 l’Italia diventa una e Torino la sua capitale che poi si trasferisce a Firenze. In questo contesto, l’urgenza è doppia:
pittorica e di nuove storie, con il paesaggio e i suoi protagonisti al centro delle tele: “Impedire lo sviluppo della pittura
di genere e del paesaggio - scriveva Telemaco Signorini nel 1867 - è sconoscere il proprio secolo, è volere a forza vivere
nel passato”. Così, la mostra, che può contare sui prestiti preziosi di istituzioni quali la Galleria degli Uffizi, l’Istituto
Matteucci di Viareggio e il Museo Fattori di Livorno, racconta questa parabola: dagli esordi, quando i Macchiaioli ancora
non si chiamavano così, con Vito D’Ancona, Giovanni Fattori e Silvestro Lega, fino a quella fucina che fu il Caffè Michelangiolo
di Firenze dove la “macchia” vide la luce e fino all’Esposizione universale di Parigi del 1855 dove De Tivoli e Altamura ammirarono
il realismo dei barbizonniers.
Il dialogo tra Firenze e i Piemonte
Firenze e i suoi artisti portarono la sperimentazione oltre i canoni romantici e poi la nuova arte ebbe proprio a Torino lo
svelamento: il 1° maggio 1861, all’Accademia Albertina erano presenti Vincenzo Cabianca e Telemaco Signorini, il cui Il quartiere degli israeliti a Venezia - di cui in mostra è presente il bozzetto - fu definito “il più sovversivo dei suoi dipinti”. Quel gruppo di giovani, anticonformisti,
sperimentatori (pagandone il prezzo) e viaggiatori, che aveva in Antonio Fontanesi un punto di riferimento indiscusso, si
stava imponendo con nuove forme e nuovi contenuti mettendo in evidenza come il dialogo tra Firenze, Piemonte, Liguria e Parigi,
che restava sempre un faro, desse frutti di modernità. Ben chiari nella mostra, uno dei cui valori è proprio quello di ricordare
come l’intrecciarsi di questi luoghi geografici abbia portato frutti abbondanti, a partire dalla Scuola di Rivara, alla quale
è dedicata una sezione della mostra tutta immersa in un allestimento carico di quiete. Quella delle campagne dalle quali i
Macchiaioli catapultarono l'arte italiana nella modernità.
Metodo e merito
Fu poco più di un decennio a mutare la storia dell’arte: «La voglia di cambiamento - spiega la curatrice Cristina Acidini
- è la cartina di tornasole dei fatti storici: ci sono Fattori e Signorini, ma vanno riconsiderati, come fa questa mostra,
anche autori quali Banti, Sernesi, Fontanesi che raccontano la vita degli ultimi, anche dei macchiaioli, cioè di quelle persone
che vivevano di quanto raccoglievano nelle macchie. È il vero palpitante, onesto quello che emerge. Certo, i toscani non dimenticano mai il disegno ma il colore è il nuovo linguaggio e le macchie evocano
il chiaroscuro, così, insieme, vanno rinnovandosi soggetti e modi».
Firenze è la culla e Torino, moderna e piena di speranza, non è da meno: il fermento di quegli anni si concretizza anche nella
nascita - è il 1863 - della collezione civica d’arte moderna, l’attuale Gam. «I rapporti fra Toscana, Liguria e Piemonte -
dice la curatrice Virginia Bertone - sono fervidi ed è una grande soddisfazione essere riusciti in questa mostra a mettere
insieme tre quadri che all’epoca furono attaccati dalla stampa e che rappresentano bene il clima di rinnovamento di tutto
il Paese: Mattino di Antonio Fontanesi (nato a Reggio Emilia), le Monachine di Cristiano Banti (Santa Croce sull’Arno) e Il quartiere degli israeliti a Venezia di Telemaco Signorini (Venezia)».
Tutte opere piene di realismo e di luce: “E fu detto che la forma non esisteva e siccome alla luce tutto risulta per colori
e per chiaroscuro così si volle solamente per macchie ossia per colori e per toni ottenere il vero”. Parola di Diego Martelli,
il critico che unì i Macchiaioli ospitandoli nella sua tenuta di Castiglioncello.
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