È stato uno dei padri dell’arte moderna, nel 1911-12 esponente di primo piano del gruppo del «Cavaliere Azzurro», con Kandinskij, Franz Marc e altri grandi artisti del tempo, e poi, negli anni 20, docente (come anche Kandinskij, di cui era stretto amico) al Bauhaus. Musicista e poeta, fine conoscitore dell’arte occidentale, teorico e autore di opere pittoriche tanto preziose visivamente quanto dense di significati, Paul Klee (1879-1940) non è però diventato, come l’amico russo o come Picasso (che ammirava: «è il pittore di oggi», diceva), un’icona mediatica dell’arte del ’900. Il carattere schivo, il rifiuto di identificarsi in un unico stile riconoscibile e i suoi stessi lavori, spesso su carta e mai di grande formato, lo hanno un poco “punito” agli occhi del grande pubblico, ma non certo nella considerazione degli altri artisti, che hanno sempre guardato a lui con ammirazione, dei musei, che gli hanno dedicato moltissime esposizioni, e dei collezionisti, che ne hanno fatto uno dei campioni del mercato dell’arte.
La mostra, curata da Michele Dantini e Raffaella Resch, che il Comune di Milano e 24 ORE Cultura-Gruppo 24 Ore gli dedicano al Mudec, ricca di cento sue opere (alcune mai viste in Italia) e arricchita da libri, documenti e pezzi delle raccolte del Mudec, è diversa da quelle viste sinora: ospitata com’è in un museo dedicato alle culture extraeuropee (quelle un tempo definite primitive) traccia, infatti, una mappa delle fonti visive da lui cercate proprio in seno al “primitivismo”, un gusto allora molto diffuso fra gli artisti più radicali, in opposizione ai dettami delle Accademie, che predicavano un’arte ornata, sciropposa e melensa. Il suo, però, fu un “primitivismo” allargato, che guardava non solo alle culture lontane, ma anche ai momenti preclassici, o anticlassici, della nostra arte, e che si nutriva della satira e del gusto per il grottesco. La mostra (che nelle prime tre sale è accompagnata dalle videoinstallazioni di Storyville) si apre proprio con le «Invenzioni» satiriche giovanili: maschere grottesche e caricature, animali fantastici, dèmoni. Il percorso ci introduce poi nel periodo definito dell’«illustratore cosmico» quando, nell’approssimarsi della Prima guerra mondiale, Klee s’identifica nel ruolo di artista mistico, mediatore tra il reale e una dimensione superiore. Guarda così alle antiche miniature, agli evangelari, alle incisioni di Dürer (in un autoritratto a matita cita la Melancholia), e ricorre spesso ai temi prediletti dell’occhio “veggente” e dell’angelo annunziatore. Entrano poi in scena gli «Alfabeti e geroglifiche d’invenzione», in una sezione abitata da opere che esibiscono segni grafici e figurette tanto schematiche da essere ridotte a sigle, fino a comporre un alfabeto fantastico, denso di simboli enigmatici. L’ultima sezione, «Il museo etnografico e la stanza dei bambini», guarda all’altro serbatoio d’immagini caro agli artisti ribelli del suo tempo, che è l’arte infantile, accostata all’arte “primaria” dei popoli non europei. Figurano qui, nell’esemplare allestimento di Cesare Mari-Panstudio, alcuni preziosi oggetti delle collezioni del Mudec, simili a quelli che Klee vide nei musei etnografici tedeschi, e poi le marionette che confezionò per il figlio Felix, servendosi dei materiali più umili trovati in casa (queste accompagnate dall’installazione interattiva di camerAnebbia), ma il congedo è affidato a una sequenza dei suoi dipinti e disegni astratti: qui scorrono alcune opere bellissime, spesso mai viste in Italia, in cui la geometria, tutt’altro che “asettica”, si accompagna a una costante ricerca di stupore.
Nel corso della conferenza stampa di presentazione l’assessore alla Cultura Filippo Del Corno ha sottolineato «la centralità del Mudec a livello internazionale per la città di Milano», mentre l’ad di 24 ORE Cultura Federico Silvestri ha evidenziato come la mostra sia stata resa possibile dalla «collaborazione con diversi Paesi, grandi istituzioni culturali come il Zentrum Paul Klee di Berna e importanti prestatori europei, pubblici e privati».
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