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Camilleri a Beirut, il Mediterraneo e i racconti che uniscono

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Camilleri a Beirut, il Mediterraneo e i racconti che uniscono

(Agf)
(Agf)

Quando gli hanno detto che avrebbero fatto una due giorni di studio universitario sulla sua opera a Beirut, persino un autore abituato a tutto, e che ha avuto la fortuna di avere i suoi romanzi tradotti in tutto il mondo, come Andrea Camilleri, ha fatto un sobbalzo sulla sedia.

Epperò la cosa è puntualmente successa, e lo stesso Camilleri non si è sottratto: impossibilitato a partecipare di persona, ha mandato un ispirato video messaggio di auguri ai convegnisti (arrivati da vari istituti universitari italiani, spagnoli, libanesi), sottolineando come, anche attraverso lo studio delle opere letterarie, il Mediterraneo può davvero ritornare ad essere un ponte di incontro tra i popoli e non la tomba nel quale si è recentemente trasformato.

Una mappa che tocca, appunto, il Libano, la Sardegna e Malaga in Spagna ha fatto da guida ai lavori del convegno, intitolato “Camilleri. Il Mediterraneo: incroci di rotte e di narrazioni”. E non è stata casuale: la tappa libanese era la seconda di un trittico. I lavori erano iniziati a Cagliari nello scorso febbraio e si concluderanno il prossimo 22 e 23 novembre a Malaga.

Che senso ha leggere Camilleri a Beirut? Nei due giorni, in due distinte sedi (una pubblica, l’Università Libanese, l’altra privata la Holy Spirit University of Kaslik, USEK, l’università dei cristiano maroniti), si è potuto toccare quanto possa “unire” la letteratura. Gli studiosi infatti si sono concentrati, soprattutto, sugli aspetti della traduzione: quanto e come si possa tradurre una scrittura così densa e particolare come quella di Camilleri (che ha fatto dell’impasto e dell’invenzione di una lingua con ricche inflessioni dialettali, pur non essendo mai riconducibile a nessuna varietà linguistica reale), e come, quindi, si possa trasferire un universo che è semantico, culturale, antropologico. Sforzo notevole: le culture sono diverse ma si possono parlare, un dialogo fecondo dal quale non si può prescindere.

E così, tra le tante, sono state molto efficaci le relazioni di Maya El Hajj (Notre Dame University Lebanon), sull’influenza dei termini arabi nel vigatese di Camilleri, di Nour Alaeddine (Lebanese University), traduttrice de “Il cane di terracotta” in arabo, di Layal Merhy (Lebanese University), sulle definizioni delle rappresentazioni linguistiche e culturali nell’opera dello scrittore siculo. Non basta, perché il Mediterraneo è stato protagonista di un allargamento ad altri autori, dallo spagnolo Lorenzo Silva (nella relazione di María Dolores García Sánchez, dell’Università di Cagliari), al marocchino Driss Chräibi: il quale, come ha ben sottolineato Giovanni Caprara (Università di Malaga) è «con i piedi nella stessa vasca» (il Mediterraneo, definizione dello scrittore algerino) di Camilleri.

Il convegno è stato possibile grazie all’infaticabile lavoro, durato più di un anno, dell’Istituto Italiano di Cultura di Beirut (nella persona di Caterina Carlini) e del professor Giuseppe Marci, docente emerito dell’Università di Cagliari e soprattutto anima e fondatore del “Seminario sull'opera di Andrea Camilleri”, giunto con la tappa libanese alla sua sesta edizione. E che annuncia già, nei prossimi anni, nuove e fruttuose tappe. In tutto il mondo, come è giusto che sia per il più internazionale dei nostri scrittori.

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