La Nuova Universale Einaudi pubblica un’edizione eccezionale di un classico latino: il Libretto dei versi di Catullo, curato da Alessandro Fo. I cento carmi del «ragazzaccio veronese, geniale, snob, tenerissimo, fragile e sboccato, istintivo e insieme erudito e sorvegliatissimo nello stile, irritabile, pettegolo…» secondo le classificazioni in cui lo inquadra Luca Canali nella sua edizione (1997), trova qui un assetto degno di quello che ancora Canali additava come «l’insostituibile crocevia» della poesia lirica latina di tutto il secolo seguente, il secolo d’oro.
Nell’Introduzione, di 163 pagine, Fo affronta e imposta con polso fermo e individualità di vedute, nel quadro di una tradizione esegetica molto ricca e autorevole, ogni problema che l’opera catulliana pone agli studiosi e ai lettori. Professore di Letteratura latina all’Università di Siena, egli ha dalla sua, come Canali, anche il retroterra di una personalità di traduttore e di poeta in proprio. Nella stessa Universale uscì infatti nel 2012 una sua versione dell’Eneide, che già affrontava e risolveva in modo originale problemi di metrica; e nella Collana di Poesia un paio di libri, Corpuscolo, del 2004 e Mancanze, del 2016.
E qui l’Introduzione si apre prospettando e dividendo metricamente e concettualmente i carmi catulliani, un primo gruppo in metri vari, e poi in distici elegiaci; dapprima composizioni brevi e leggere, le nugae, scherzi, poi di maggior estensione e impegno e su temi ispirati alla vita quotidiana, soprattutto le amicizie e le inimicizie e il sommo e struggente, fortissimo e delicato, perenne: l’amore. Anche il basso si affianca alla sublimità di questi temi sconvolgenti, ma la sostanza di ogni componimento della musa catulliana «è centrale per l’esperienza della vita di ognuno». Sempre molto letto e persino popolare, oggi si ritrova in lui ciò per cui Fo usa persino una terminologia modernissima, tanto questo Libellus è innovativo: e cioè sesso, potere, dinamiche sociali; leggibile persino in chiave psicanalitica e pornografica, maschilista o femminista.
Certo si potrebbe anche obiettare che mancano nel panorama catulliano talune prospettive che rendono un poeta davvero universale e indispensabile. Ma è anche vero che ciò che gli ispira la tragedia dell’abbandono e del tradimento di una donna, della perdita di quell’ideale e dell’irrompere su di esso della realtà del mondo, gli ispira accenti imperituri nel cuore e nella mente di qualsiasi lettore. Per lei, Lesbia, egli si era inebriato perdutamente (carme 5, trad. Fo): «Su viviamo, noi due, mia Lesbia, e amiamo… | Mille baci tu dammi, e quindi cento, | poi altri mille, e poi un’altra volta cento, | quindi fino a altri mille, quindi cento. | E poi, molte migliaia…»; ora la vede e la rappresenta disperatamente ad un amico: «Celio, la nostra Lesbia, Lesbia, quella, | quella Lesbia, lei che Catullo sola | più di sé ha amato, … | ora in vicoli e nei crocicchi» rende i servizi più immondi ai Romani (carme 58).
Osserva Fo che il modo come il poeta ha vissuto questo dramma è del tutto straordinario ed eccezionale, per l’importanza che vi assume l’aspetto “non fisico” dell’esperienza amorosa e l’originalità dei sentimenti delicatissimi che egli vi introduce: «Ti ho avuto a cuore, a quel tempo, non come il volgo un’amica | ma come ha a cuore i suoi figli, ed anche i generi, un padre» (carme 72).
L’originalità e la pregnanza del sentimento amoroso nel nostro poeta ne fa il fondatore anche del linguaggio della poesia e del linguaggio amoroso occidentale. I diminutivi, che ci fanno sorridere in lui e in noi, ne sono una nota caratteristica: così puellula, brachiolum, ore floridulo, ocelli, pallidulus, languidulus somnus… E ancora, i suoni e le onomatopee e gli «intrecci acustici di parole» e le sinfonie verbali. Così, nell’epicedio per la morte del passero della sua fanciulla (carme 3) troviamo: Passer mortuus est meae puellae, | passer deliciae meae puellae| quem plus illa oculis suis amabat. | Nam mellitus erat suamque norat | ipsam tam bene quam puella matrem | … O miselle passer! | Tua nunc opera meae puellae | flendo turgiduli rubent ocelli («Morto è il passero della mia ragazza, | gioia, il passero, della mia ragazza, | che lei più dei suoi occhi stessi amava. | Tutto miele era infatti, e distingueva | la sua lei come bimba con la mamma,| né dal grembo di lei mai si muoveva. | … O tu, poverello passero! | Per quest’opera tua la mia ragazza | piange e rossi ha gli occhietti, e gonfi gonfi».
Il latino catulliano e l’italiano del traduttore trovano nelle monumentali note successive (pagine 392-1221) descrizioni e risposte ad ogni quesito. E si ha l’impressione che, oltre alla fatica immane, Fo a volte vi si sia divertito all’arguzia, e certo diverte i suoi lettori.
Carme 27: «Tu al vecchiotto Falerno addetto giovane, | versa a me coppe belle amare, legge | di Postumia – regina del convito –,| più di un acino tutto ebbro ebbra. | Ma voi dove vi va sparite, o linfe, | via, rovina del vino, voi, e migrate | dagli austeri: qui è re il Tioniano puro». Nelle sei pagine di note l’annotatore ci informa anzitutto che il carme è stato sottoposto da parte dei commentatori a molte elucubrazioni e sottigliezze, mentre la sua impressione è che siamo di fronte a una semplice, spontanea accensione occasionale, mirabile nella sua autenticità; con ogni probabilità, un’improvvisazione a simposio. Si è stabilito che si beva vino puro: e ben venga. [...] «Da trentatré parole in versi su una serata a bere fra amici, cosa pretendere di più?».
Viceversa al disperato carme 75 leggiamo: «Mi è giunta a tanto – per tua, mia Lesbia, colpa – la mente, | e a tale punto s’è persa per questa sua dedizione, | che ormai non può, pur se ti fai perfetta, volerti più bene, | né fare a meno di amarti». Fo lo inquadra e lo eleva così: «In questo epigramma l’accento finisce per cadere ai margini della follia in cui sbocca un simile smarrimento. Trattandosi di un’esperienza comune, non stupisce riscontrare un motivo analogo anche nella precedente tradizione [della poesia] erotica. […] Difficilmente, tuttavia, le variazioni di Catullo dipendono qui dai libri, e sembra impossibile negare che scaturiscano dal vivo di una sofferenza profondamente sperimentata».
Davanti a questi casi, così presentati, anche l’obiezione accennata più sopra delle deficienze e le scorie che restringono o impoveriscono la poesia catulliana, cade, e si riflette o si geme e inveisce con lui come sui grandi.
Le poesie
Gaio Valerio Catullo
A cura di Alessandro Fo. Testo latino a fronte, Nuova Universale Einaudi, Torino, pagg. CLIII-1323, € 58
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