Cultura

Quando lo Stato diventa antisemita

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27 gennaio

Quando lo Stato diventa antisemita



A Berlino. I blocchi inconfondibili del Memoriale  dell’Olocausto, progettato dall’architetto Peter Eisenman assieme all’ingegnere 
Buro Happold
A Berlino. I blocchi inconfondibili del Memoriale dell’Olocausto, progettato dall’architetto Peter Eisenman assieme all’ingegnere Buro Happold

La memoria del 27 gennaio è un continente vasto, pauroso, che sappiamo di avere alle spalle. Eppure, mentre collettivamente c’impegniamo a ricordare l’inferno che è divampato nella nostra Europa ottant’anni fa, una domanda c’inquieta. Cosa ci aspetta? Come se navigassimo in mare aperto, e scrutassimo con ansia i segni di una terra che sentiamo vicina, ma che non ancora non vediamo. Il continente verso cui facciamo rotta potrà mai essere tenebroso e amaro come quello abitato dalle generazioni che ci hanno da poco preceduto? L’ansia della Storia fa parte della Storia stessa. Temiamo e quindi agiamo, ripensiamo continuamente il nostro essere, riandiamo a ciò che è avvenuto per orientarci e per farci coraggio. O non piuttosto per perderci e per confonderci? Si parla spesso dell’istituzionalizzazione della Giornata della memoria, del pericolo di renderla una ricorrenza formale, staccata dalla realtà, di vuote cerimonie e di parole di circostanza. Eppure, e questo lo sentiamo con forza, il timore per l’avvenire non è vacuo e superficiale. È un timore diffuso. In molti pensano sia anche un timore giustificato. Non ci consola credere che la Storia non si ripeta. Non si ripete, certo, negli stessi modi e nelle esatte circostanze. Non ci accade forse, nella vita di tutti i giorni, di cadere di nuovo, come già siamo caduti? E questa caduta rovinosa non è possibile per le società e le nazioni, oltre che per gl’individui?

Il quesito che ci piacerebbe spremere, da questa Giornata, per renderla più viva e vitale, è dunque legato al futuro, più che al passato. Cosa ha fatto cadere l’Europa di allora, orgogliosa com’era del proprio progresso e della propria civiltà? È un inciampo prevedibile ed evitabile, un ostacolo da tenere a mente, per non scivolare nuovamente, senza forse la possibilità di rialzarci più? C’è un punto di non ritorno, oltre il quale la violenza può giungere fino all’annientamento di milioni d’innocenti? Sarà poi giusto cercare la risposta nei libri? A che cosa possono servire, i libri, quando intere nazioni, all’improvviso, sfondano gli argini della ragione? Se riandiamo a quei terribili anni Trenta del secolo scorso, che annunciano e preparano la Shoah, ci accorgiamo che almeno un poco, o forse molto, i libri contano. I nazisti non cominciarono forse bruciando, nel 1933, grandi falò, pire enormi di volumi? «Il tedesco del futuro non sarà solo uomo del libro ma anche uomo del carattere», disse in quell’occasione Goebbels, sulla piazza dell’Opera di Berlino, e sappiamo cosa sia venuto poi. Prendiamo allora tre saggi usciti in questi primi giorni del 2019, in tre grandi lingue europee. La scelta mette assieme riflessioni del passato e spunti contemporanei.

Nelle librerie tedesche è appena arrivata l’edizione critica di una raccolta di Hannah Arendt, uscita in volume, con il titolo Sei saggi, nel 1948, quando la guerra era finita da poco. Tra i contributi di questa nuova edizione v’è la datazione precisa dei singoli testi, in alcuni casi apparsi su riviste mentre ancora divampava il conflitto. V’è una cosa, per esempio, che Arendt annota già alla fine del 1944. I nazisti, nell’ineluttabilità della sconfitta, fanno ogni sforzo per associare l’intero popolo tedesco con il nazionalsocialismo. Un’operazione di propaganda, insomma, inscenata alla fine del conflitto, che vuole azzerare ogni segno distintivo di qualsiasi alterità o resistenza. Non una realtà storica, questa della indiscriminata colpa collettiva tedesca, ma un’omologazione forzata e in extremis, una statalizzazione del crimine, almeno agli occhi di un’osservatrice informata, che scrive quando Auschwitz e gli altri campi sono ancora tragicamente in funzione.

Per certi versi simile, è una delle possibili linee di lettura della Breve storia della questione antisemita di Roberto Finzi, uscito nel 1997 e ora aggiornato e ampliato. Già il titolo è significativo dell’approccio. Non si parla qui di una “questione ebraica” ma, rovesciando la prospettiva, di una “questione antisemita”, vale a dire che pregiudizio e violenza non dipendono affatto dalla minoranza perseguitata ma sono patologie sociali delle società che perseguitano. In questa lunga storia, che nel mondo cristiano si trascina per quasi due millenni, qual è la caratteristica saliente degli anni Trenta in Germania? Basta guardare lo schema riassuntivo delle date fondamentali tra il 1933 e il 1939, offerto da Finzi, e si capisce che sono per lo più tappe giuridiche. Impadronitisi dello Stato, un colpo dopo l’altro, i nazisti finiscono per azzerare lo status giuridico degli ebrei. È un processo graduale, che trasforma cittadini con pieni diritti in fantasmi civili, pronti per essere eliminati. Anche visto da questa prospettiva, l’”inciampo” si chiama Stato. La progressiva statalizzazione dell’antisemitismo, che da componente violenta e aggressiva della società si fa legge – questo è il punto di svolta. Un Paese con molti antisemiti, qual è la Germania nel 1933, si trasforma in un Paese di soli antisemiti. E, naturalmente, senza ebrei. Qualcosa di simile avviene nel 1938 con le leggi razziali in Italia. Lo Stato fascista ordina, esclude, discrimina? Il piano inclinato dell’acquiescenza e dell’antisemitismo zelante comincia per legge, e diventa sempre più scivoloso, fino allo sterminio, che è messo in atto dopo l’8 settembre 1943.

Come ci ricorda Delphine Horvilleur, rabbina riformata e voce autorevole del giudaismo francese contemporaneo, in un suo recentissimo pamphlet, la tradizione ebraica ha un’idea molto chiara di questo snodo fondamentale. Riprendete in mano il libro di Ester, il primo testo biblico in cui si parli di una persecuzione indiscriminata contro tutti gli ebrei, in quanto tali. Aman odia Mardocheo, e vuole il male suo e del popolo a cui questi appartiene. Non sappiamo bene perché lo odi – il fatto che non s’inchini davanti a lui non ci pare poi questo gran motivo - ma il testo racconta cosa Aman faccia per ottenere il proprio scopo. Parla con il re, lo sobilla e ne ottiene un editto ufficiale, che prevede lo sterminio degli ebrei. Ancora una volta, pregiudizio e violenza diventano, per così dire, dottrina ufficiale dello Stato. Quando l’odio verso il diverso, lo straniero, s’impadronisce dello Stato e delle sue leggi, il futuro si fa di tenebra.

I libri di cui si parla
Sechs Essays: Die verborgene Tradition, Hannah Arendt, a cura di Barbara Hahn, Wallstein, Gottinga, pagg. 503, € 39
Breve storia della questione antisemita, Roberto Finzi, Bompiani, Milano, pagg. 235, € 12
Réflexions sur la question antisémite, Delphine Horvilleur, Bernard Grasset, Parigi, pagg. 162, € 16

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