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A Berlino è il giorno di «The Ground Beneath My Feet», film psicologico tutto al femminile

Sono ancora le donne le grandi protagoniste di questa prima parte del Festival di Berlino: dopo Lone Scherfig con «The Kindness of Strangers» e Nora Fingscheidt con «System Crasher», è arrivato il turno dell'austriaca Marie Kreutzer, che ha presentato in concorso il suo nuovo lungometraggio «The Ground Beneath My Feet». Al centro della trama c'è Lola, una donna che gestisce la sua vita privata con la stessa maniacale efficienza con cui ottimizza i profitti nel suo lavoro. Un giorno però un evento tragico riguardante sua sorella potrebbe farle perdere completamente la ragione.

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I ritmi sempre più stressanti del mondo del lavoro e i traumi del passato pronti a tornare a galla sono i temi principali di questa pellicola al femminile, dai forti risvolti psicologici ed esistenziali.
Marie Kreutzer è più attenta alla regia (priva di grandi sbavature) che alla sceneggiatura, versante sul quale il film cade a causa di alcuni passaggi poco credibili e di una seconda parte inconcludente.

Una scena del film «The Ground Beneath My Feet»

L'andamento narrativo è ridondante, seppur ci sia un sufficiente approfondimento sul personaggio principale e i rapporti che ha con il resto del mondo, dai colleghi alla sorella, ma tutto in funzione di un'agenda sempre più fitta, dove non sembra esserci più spazio per i contatti umani.
I contenuti invogliano a riflettere, ma la mancanza di un adeguato disegno d'insieme impedisce alla pellicola di incidere come la regista avrebbe voluto.
Più interessante è invece «Öndög», film girato in Mongolia e diretto dal cinese Wang Quan'an.

Una scena del film «Öndög»

Anch'esso in lizza per l'Orso d'oro, «Öndög» si apre con una sequenza di grande fascino: un veicolo si muove di notte nel mezzo della steppa mongola fino a quando non viene trovato il cadavere di una donna. Per difendere il cadavere da possibili attacchi di animali feroci, la polizia invia un giovane agente poco esperto del luogo.

Vincitore a Berlino nel 2006 con il notevole «Il matrimonio di Tuya», Wang Quan'an torna per la quarta volta in concorso al festival tedesco con un progetto anticonvenzionale, che ragiona molto con il linguaggio cinematografico e le suggestioni audiovisive.
Colpisce positivamente la fotografia, grazie a immagini di straordinaria bellezza in cui i personaggi sembrano diventare parte integrante della natura circostante.

Visivamente pregevole, il film si perde invece in una struttura narrativa troppo complicata e poco appassionante. Soprattutto con il passare dei minuti, il regista sembra un po' perdere le redini del suo progetto, limitandosi a dare vita a singole sequenze di buon impatto estetico, che però faticano a trovare un senso all'interno del mosaico complessivo che è stato messo in scena.
Resta comunque un progetto curioso, una sorta di western in salsa asiatica che, a ogni modo, non lascia indifferenti.

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