Flectar sed non frangar.
Così sussurravano fino a ieri i boschi di abeti della Val Visdende, ora accumulati in cataste rosse. Sradicati e sanguinanti,
erano gli stessi di cui andava in cerca Stradivarius, per i suoi violini, arrivando qui a piedi, da Cremona. Fino a ieri risuonavano
al vento, in magnifico concerto e senza bisogno di applausi di circostanza. In tutto simili ai legni di Renzo Piano a Numea,
nell'oceano Pacifico, vicina all'Australia, ricreati in suggestive capanne. Archetipi simbolici dove raccontare storia e cultura
della popolazione locale kanak, con opere di artisti maori, caledoniani e papuani.
Ora nella Val Visdende gli abeti rossi con anima di violino sono stati ridotti dalla bufera a legnetti putrefatti, come quelli
del gioco degli shangai. Pericolosamente trasformati in potenziali untori, appestanti il futuro dei boschi vicini. Perché
lasciati a marcire così, sotto la neve, diventeranno capanne per insetti parassiti voraci, distruttori.
Mentre su tutt'altro fronte, il direttore Daniele Gatti, albero maestoso e invitto, invitato al Marinskij di Pietroburgo dal
cuore grande dello zar Gergiev, l'altra sera ha concertato la storica orchestra russa guadagnando uno straordinario trionfo
e proponendo un programma ambizioso, tra «Apollon musagète» di Stravinskij, «Nocturnes» di Debussy e «Daphnis et Chloé» di
Ravel. Standing ovation per il musicista milanese. In barba al virus dell'untrice di cui parla mezza Europa. Che non è nordica.
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