Il 2019 si apre con una notizia bella: una grande mostra monografica - finalmente - dedicata a colei che forse è la massima
pittrice del passato, Artemisia Gentileschi, figlia del notissimo Orazio. Nel 1612, a un anno dallo stupro subito da Agostino
Tassi, che lavorava col padre, questi lo chiamò in un rocambolesco e diabolico processo, concluso al termine di 700 giorni
con una lieve condanna per Agostino. Ma dopo sevizie d'ogni genere, torture (compresa quella dei sibilli, coi pollici schiacciati)
e la terribile visita genitale, per la povera Artemisia, la vittima. Tutto documentato nei verbali giudiziari giunti fino
a noi.
Le pittrici barocche non godettero mai di attenzioni, neppure dalla critica. Elisabetta Sirani dipingeva in pubblico, per
provare che l'opera fosse sua. E sempre furono tenute in secondo piano, rispetto ai pittori maschi, le “Marie Antonietta”
della Vigée le Brun, le nature morte, spesso musicali, della Vallayer-Coster, i ritratti incipriati di Rosalba Carriera, che
Guido Rossi collezionava, o le delizie della milanese Fede Galizia. A tutte loro venivano permessi solo ritratti e nature
morte, soggetti minori rispetto alle grandi tele mitologiche. In cui primeggiava Artemisia. Peraltro anche nella musica le
compositrici subirono la stessa sorte: dalla figlia di Giulio Caccini, Francesca, fino a Clara Wieck Schumann, celebre pianista
ma pressoché ignorata compositrice.
Nei prossimi giorni di gennaio un capolavoro di Artemisia, l'Autoritratto in veste di Santa Caterina, acquistato per 4,7 mln
di $ dalla National Gallery, per la gioia dei bravi galleristi Voena e Moretti, inizierà un viaggio civetta in Inghilterra,
con cui trainare la monografica dell'anno prossimo. È così che si fa. Anche per celebrare il primo vero #Metoo della storia.
Che potrà far vergognare gli orrendi scivoloni di non poche pulzelle e tardone d'oggi, in cerca di miseranda notorietà.
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