Nel Settecento, quando cominciava a proliferare il mito letterario del “buon selvaggio”, l'Europa cercava negli individui che popolavano le zone più periferiche del mondo qualcosa che desse la sensazione di un'umanità dotata di una bontà d'animo, in cui la creazione non avesse del tutto fallito, dunque a portata di salvezza. Il “buon selvaggio” si poteva civilizzare solo quando fosse venuto a contatto con l'uomo europeo. Ripensando a ciò che Mauro Corona ha dichiarato un po' di tempo fa a Radio24 (e cioè «quando esagero faccio una doccia al mese, adesso però sto per completare il secondo mese senza farne nemmeno una»), viene il dubbio che questo mito sia in ritardo di tre secoli e che aspetti di liberarsi dalla sua maldestra figura di (forzato) naif. Vesti lacere, calzari rustici, capelli a nido d'uccello, bandana da pirata malese, allergia all'acqua: Mauro Corona gode nel presentarsi alla gente nel ruolo dello scrittore appartato e primitivo, ruolo che gli conferisce quell'aria di chi è in grado di miscelare buon senso e nomenclatura quotidiana facendoli passare per idee originali. Non è bastato che scorresse una montagna di sabbia dentro le clessidre per arrivare a concepire una figura più o meno stabilizzata di scrittore dai modi urbani, eppure ce l'avevamo quasi fatta: siamo riusciti a convincerci che nemmeno al tempo di Omero ci si poteva permettere il lusso di essere ingenui. Adesso arriva Corona davanti ai teleschermi a dispensare verità su qualsiasi argomento, ma con risultati di una sconcertante banalità. Sulla base di quali competenze parla? Con quali argomentazioni vorrebbe convincerci? Il vero problema non è lui, ma chi lo ascolta e lo legge. (Modesto Michelangelo Scrofeo)
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