Leggo, rileggo, e non capisco nulla. Mi era venuta voglia di godermi il Foscolo poeta. Avevo preso in mano un'edizione economica.
Leggevo: «Forse perché della fatal quïete/ tu sei l'immago a me sì cara vieni/ o sera! … / e mentre io guardo la tua pace,
dorme/ quello spirito guerrier ch'entro mi rugge». Seguivo il ritmo dei versi; ma disgraziatamente mi cadde l'occhio su una
nota a piè di pagina che, per il signicato «profondo» del componimento, rimandava a un libro di un tal Nicolò Mineo in uso
nei corsi universitari: Foscolo, Bonanno editore, 2012, p. 81. Un salto in Biblioteca mi procurò un forte turbamento. Lessi:
«Il livello inconscio di significato del messaggio è in questo caso assolutamente parallelo a quello conscio, tanto da funzionare
come raddoppiamento di intensità del discorso che si costituisce come messaggio unico». Non erano le convergenze parallele
di Moro, queste? Seguiva un altro sproloquio: «La sera-quiete-morte è chiaramente interpretabile come immagine di pertinenza
dell'universo materno. È la sicurezza e la stabilità della condizione intrauterina (…). Se la morte, quindi, a livello conscio,
è certamente il “nulla”, a livello profondo è invece la protezione dalla vita (…). E l'immagine del “dormire” dello spirito
leonino sembra utilizzata quasi un accertamento [sic] quanto alla natura asessuale della tensione verso la madre». Non capivo.
Mi ostino adesso a trovare un senso. Deve esserci una chiave che spieghi tanto sfascio di logica. La trovo in un'altra pagina:
Foscolo passava «dall'ansia di evadere dalla frustrante realtà alla esaltata attesa di ambiziose rivalse, alla tensione all'eroismo
virtuoso, in un'inquieta ricerca della propria identità» (p. 20). Scopro che l'autore si è autocensurato. Nella prima edizione
del libro (1977), la frase continuava così: passando «dal masochismo e dall'aggressività che maschera e compensa l'insicurezza
(castrazione) e l'insoddisfazione orale, ad una sorta di narcisistico esibizionismo e ai modi topici della sublimazione» (p.
178). Può darsi che sia questa golosità «orale» inibita il gran segreto del Foscolo di Mineo. È una insinuazione impudica?
È quanto ci si può aspettare da chi scrive frasi così rissose: «I saggi qui raccolti, su tempi, autori, opere disparati, ripropone
il problema della letteratura e dell'arte in genere, cosiddetta popolare (…). Qui rivolgo l'attenzione alla produzione di
testi a base linguistica» (da una Prefazione, del 2003, p. 7).
(Modesto Michelangelo Strofeo)
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