Come si fa in un colpo solo a rovinare le biografie di un maestro mondiale del fumetto, un premio Oscar e un allievo di Pier
Paolo Pasolini? Ci vorrebbe un miracolo e i miracoli si sa che li fanno i santi e i profeti. Qui da noi, a quanto pare, riescono
pure ai sedicenti profeti: vedi alla voce Adriano Celentano che, con il cartone animato Adrian, ha impresso una macchia indelebile
sul cursus honorum del disegnatore Milo Manara, del compositore Nicola Piovani e dello sceneggiatore Vincencenzo Cerami, scomparso
cinque anni fa. Persino Alessandro Baricco, il gamer della narrazione più amato dalle italiane, ci ha rimesso un pezzettino
di credibilità, considerando che il progetto s'avvale della prestigiosa collaborazione della sua Scuola Holden. Cosa ne è
uscito fuori? Nove puntate prodotte da Mediaset in qualcosa come 11 anni di gestazione, alla modica cifra di 20 milioni, per
espandere, se possibile, il già ingombrante delirio d'onnipotenza del Molleggiato. Trama: nell'Italia del 2068 Adrian, alter
ego dell'Autore dai pettorali degni di Policleto, fa l'orologiaio, s'accoppia ogni due per tre con Gilda, trasfigurazione
manariana di Claudia Mori, s'oppone a colpi di canzonette al solito regime distopico che brucia i libri, controlla i media,
cementifica i lungomari, fa affari coi clan, maltratta le donne e instupidisce tutti con la pubblicità. Più o meno la stessa
predica che Celentano fa da 50 anni, se possibile ancora più banale e sconclusionata. Memorie di Adrian, stavolta parecchio
kitsch.
(Modesto Michelangelo Scrofeo)
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