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Dossier Quartetto di prime verdiane

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    Dossier | N. 61 articoli Una più del diavolo: l'archivio di Mephisto Waltz

    Quartetto di prime verdiane

    Quattro prime verdiane, un poker da primato raccolto al volo tra i teatri italici, concentrato di letture diverse e di diverso impegno.
    A Venezia, Myung Whun Chung è uscito dal coro proponendo un Macbeth, a quasi 400 anni dalla tragedia shakespeariana, quasi fosse già l'Otello: morbido, avvolgente, rotondo, ma infernale. Geniale come il coup de théâtre di indossare alle ultime battute (ultima replica) una esorcizzante parrucca da strega, caschetto candido e frangetta, che pareva la Carrá. A Roma niente buche, con un Rigoletto di Gatti che passerà alla storia: musica divina - ammetto a denti stretti- di un'orchestra rinata. Gran pubblico e cena di gala nei Laboratori di Scenografia tra giganteschi “mobiles” di Calder.
    Domani a Rimini, la vera riapertura del Teatro Galli, col Simon Boccanegra di Gergiev e orchestra e coro del Mariinskij più Mattarella. Una ventata felliniana, per Verdi che qui lanció l'Aroldo. Gradiremo.
    Infine il Verdi di Attila alla Scala con la banalità della minuscola farcitura di cinque battute di Rossini. Ormai un vizio quello di inserire battute, riscoprire qualcosa per far notizia, di cui peraltro neppure il miglior musicista mai si accorgerebbe. Sobbalzi invece tra il pubblico di Sant'Ambrogio: qualcuno di getto grida “Pronto? Pronto?” Perché si sa, le note del Preludio dell'Attila erano la vecchia sigla di attesa telefonica del teatro. Alla premiere applausi al Presidente della Repubblica, gaudium magnum, Inno di Mameli. Ma come mai Mattarella ha saltato proprio Roma? Solo il diavolo lo sa.

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