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Dossier Nell’officina del Verrocchio

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    Dossier | N. 3 articoli Leonardo, le mostre più belle nel cinquecentenario dalla morte

    Nell’officina del Verrocchio

    «Madonna con Bambino», Berlino, Gemaelde Galerie
    «Madonna con Bambino», Berlino, Gemaelde Galerie

    Buio, puzza e rumore. Se una macchina del tempo potesse riportarci indietro di secoli e farci approdare nella Firenze del Quattrocento, verremmo colpiti non solo dall’ingente numero delle botteghe di artisti attive in città ma soprattutto dal loro singolare aspetto. L’immagine dell’artista pensieroso che assistito dalla Musa crea in solitudine la sua opera immortale in un atelier pieno di silenzio e di luce è quanto di più falso si possa immaginare. Per secoli gli artisti hanno creato i loro capolavori in fondaci senza finestre, sporchi, maleodoranti e rumorosi, in mezzo a schiere di colleghi e collaboratori intenti a disegnare, dipingere, modellare, scolpire, incidere, incastonare e fondere. E tutte queste attività avvenivano spesso sotto la guida di un unico, carismatico personaggio: il capobottega. Molti tra i più noti artisti del nostro Rinascimento furono non solo abilissimi artefici ma anche efficientissimi titolari di bottega. Uno dei essi, il fiorentino Andrea del Verrocchio (Firenze, 1435 circa – Venezia, 1488), rappresenta un caso emblematico, e a lui dedicata la bellissima mostra Verrocchio, il maestro di Leonardoaperta a Palazzo Strozzi di Firenze (con una speciale sezione al Museo Nazionale del Bargello) fino al 14 luglio, a cura di Francesco Caglioti e Andrea De Marchi.

    La mostra non è solo bellissima ma è oltremodo originale perché è la prima esposizione dedicata a questo personaggio chiave della Firenze di Lorenzo il Magnifico, che lavorò gomito a gomito con promettenti allievi come Leonardo da Vinci, Ghirlandaio e Perugino, e visse circondato da artisti e botteghe concorrenti di grande livello e qualità.

    Un pannello introduttivo a inizio mostra inquadra il personaggio. Il nome esatto di Verrocchio era Andrea Cioni, suo padre fabbricava mattoni e la famiglia viveva nella parrocchia fiorentina di Sant’Ambrogio. Nel 1452 il giovane Andrea combinò un grosso guaio: durante una battaglia di sassi tra ragazzi colpì accidentalmente l’amico Antonio di Domenico, che morì dopo tredici giorni d’agonia. Andrea sfuggì all’accusa di omicidio grazie a un accordo pacificatore stipulato tra suo padre e il padre della vittima, alla presenza di un testimone decisivo, l’orafo Francesco Verrocchio, che probabilmente era già il maestro d’arte di Andrea e dal quale il giovane derivò il celebre soprannome.

    Andrea del Verrocchio iniziò dunque la sua carriera come orafo, e si perfezionò in questa specialità presso Antonio Dei. Poi, nel 1456, abbandonò di colpo l’oreficeria forse a causa della scarsità di committenze, che portarono addirittura al fallimento della bottega di Dei.

    Verrocchio volse lo sguardo alla scultura e trovò nella lavorazione del marmo e del bronzo il fulcro della propria espressione artistica. La svolta maturò nella bottega di Donatello, anche se fu Desiderio da Settignano, poco più adulto di Andrea, a insegnargli a scolpire il marmo.

    Con abilità e sensibilità, Verrocchio riuscì a catturare i moti del corpo e dell’anima e a infonderli nei busti femminili che in magico corteo accolgono il visitatore nella prima sezione della mostra: spicca su tutti la Dama dal mazzolino del Bargello, le cui mani incrociate al petto ispirarono direttamente l’allievo più celebre di Verrocchio, Leonardo da Vinci, qui presente con lo Studio di braccia e mani femminili proveniente dal Castello di Windsor, preparatorio per il Ritratto di Ginevra de’ Benci di Washington.

    Abilissimo nel lavorare il marmo, Verrocchio fu altrettanto abile nella fusione del bronzo, realizzando nel nobile metallo opere celeberrime come ilDavid del Bargello, esposto nella seconda sezione (dedicata agli Eroi antichi) e messo in relazione con un altro Studio di teste e di figure di Leonardo (Windsor, Royal Collection), nel quale il Vinciano non solo ritrae più volte la statua del maestro, ma dimostra come i suoi profili siano ispirati ai rilievi in marmo di eroi ed eroine dell’antichità, realizzati da Desiderio da Settignano e da Verrocchio. Un tema, quello del profilo, che verrà poi rielaborato dallo stesso Leonardo fino atrasformarsi in caricatura.

    Accanto alla scultura, Verrocchio coltiva l’arte della pittura (sezione 3), eccellendo come frescante (in mostra è esposto il frammento con San Gerolamo strappato dalla chiesa di San Domenico a Pistoia) e soprattutto come inventore di una fortunata tipologia di Madonna con il Bambino (in rassegna le versioni di Berlino e di Londra), subito presa a modello da Botticelli (con non era suo allievo) e da Perugino (che era suo allievo), oppure riproposta in forma di bassorilievo scultoreo da Francesco di Simone Ferrucci, fedele seguace e collaboratore di Verrocchio.

    Perugino - che frequentò l’officina di Verrocchio - ne esportò il linguaggio prima in Umbria e poi a Roma. Decisamente verrocchiesche sono infatti le Storie di san Bernardino esposte in mostra nella sezione 5, impresa condotta da Perugino, cui collaborò anche il giovanissimo Pintoricchio. Ma anche Domenico Ghirlandaio frequentò la bottega verrocchiesca tra il 1470 e il 1472, convertendo il solido linguaggio del maestro in una più eccentuata dolcezza (come si vede in mostra con la Madonna con il Bambino di Edimburgo). Assai diverso fu invece il rigido verrocchismo del monaco Bartolomeo della Gatta, figlio dell’orafo Antonio Dei (maestro del giovane Verrocchio) presente con la grande Assunta del Museo Diocesano di Cortona.

    Verrocchio visitò Roma attorno al 1480 durante il pontificato di Sisto IV della Rovere (sezione 6). Per l’altare della Cappella Sistina Andrea eseguì alcune statue di Apostoli in argento oggi perdute, mentre in suoi ex allievi e seguaci, soprattutto Perugino e Ghirlandaio, erano impegnati in parallelo a dipingere le Storie di Mosè e di Gesù sulle pareti della Cappella papale. In Santa Maria sopra Minerva, Verrocchio progettò inoltre la tomba di Francesca Pitti Tornabuoni morta tragicamente di parto, come narra la strepitosa lastra tombale scolpita da Francesco di Simone Ferrucci, alter ego di Verrocchio.

    Il soggiorno romano fu occasione propizia per il Verrocchio di immergersi nella classicità, e il dialogo con i modelli classici si rivela soprattutto nella creazione di sculture da esterni (sezione 7). Andrea contribuì a fissare un modello di fontana monumentale costituito da una serie di vasche concentriche e sovrapposte come in un candelabro. All’apice erano collocate figure come il vivace Putto con il delfino di Palazzo Vecchio. L’artista dimostrò grande virtuosismo anche nel realizzare candelabri veri e propri, come attesta quello bronzeo (magnifico) realizzato per la Signoria fiorentina proveniente da Amsterdam. Tra le sculture “da esterno” vanno qui menzionati i due suoi più alti capolavori: L’Incredulità di san Tommaso modellata per la una delle nicchie dell’Orsammichele (esposta nella sezione della mostra al Bargello) e il colossale Monumento equestre di Bartolomeo Colleoni a Venezia (rimasto ovviamente nella sua sede originale), ultimo capolavoro del maestro prima della morte avvenuta in Laguna, e che in mostra è evocato da un disegno con studi di misurazione del cavallo.

    Nel 1475 Verrocchio operò anche a Pistoia (sezione 8), con la pala d’altare per la cappella della Madonna di Piazza, eretta dal vescovo Donato de’ Medici, e il cenotafio del cardinale Niccolò Forteguerri per il Duomo: in mostra ci sono i meravigliosi modelletti in terracotta.

    L’ultima sezione (la 9: Da Verrocchio a Leonardo) è di una bellezza e intensità commuoventi: ruota attorno agli studi «de’ panni», ovvero a chiaroscuri di brani isolati di panneggio. Nella seconda metà del Quattrocento lo studio dei panneggi a chiaroscuro assunse il valore di un genere autonomo, e nella bottega di Verrocchio sia il maestro Andrea che l’allievo Leonardo realizzarono studi di panneggi dipinti su sottili tele di lino che riproducevano drappi veri, imbevuti di cera o terra liquida e posizionati su manichini. Le superfici monocrome prendono vita attraverso la luce, nei lini di Verrocchio con tagli più esatti, in quelli di Leonardo con trapassi più sfumati. E le strutture rigorose di Verrocchio si addolciscono anche nella Madonna col Bambino in terracotta del Victoria and Albert Museum di Londra, che Francesco Caglioti propone come verosimilmente l’unica opera plastica nota di Leonardo eseguita dall’artista ancora giovane nella bottega del maestro. 

    Con essa la mostra di Palazzo Strozzi si conclude. Bisogna trasfersi al Bargello per ammirare l’Incredulità di San Tommaso circondata di teste di Cristo da essa derivate, e le variazioni sul tema di una Crocifissione lignea verrocchiesca. Per vedere altri capolavori del Maestro bisogna muoversi per Firenze: in San Lorenzo ci sono le tombe dei Medici, nel Museo del Duomo c’è la palla per la cupola del Brunelleschi, agli Uffizi c’è il celebre Battesimo di Gesù. Quest’ultima opera sarebbe stato meglio e più comodo vederla in mostra: non si capisce perché il prestito sia stato negato, vista l’altissima qualità scientifica della rassegna.

    Verrocchio. Il maestro di Leonardo

    Firenze, Palazzo Strozzi e Museo del Bargello fino al 14 luglio, Catalogo Marsilio

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