Uno può anche raccontarsi di non provar timore. Ma in sincerità sappiamo che non è così: la malattia mentale più di quella fisica spaventa, smarrisce , allontana. È forse la percezione che nella gran parte dei casi non vi sia salvezza o l’ansia che, in fondo, dentro possiamo finirci tutti. È lo sguardo dei folli ad angosciarci, e la visione del corpo che si smobilita ed annulla. Ora ci voleva la voce di un poeta a rompere gli indugi, a tendere la mano. In Italia ci sono più di 800mila pazienti psichiatrici. Diciotto di queste storie sono raccolte da Ferruccio Giovanetti e narrate in Anime perse (edito da Marcos y Marcos) da Umberto Piersanti. Giovanetti è amministratore del Gruppo Atena, una struttura di recupero nelle Marche che accoglie uomini e donne affetti da patologie psiciatriche. Piersanti è considerata una delle voci più importanti della nostra letteratura, candidato al Nobel nel 2005.
La gran parte di queste storie sono storie di uomini che hanno conosciuto la violenza del manicomio criminale e di donne che hanno vissuto la violenza degli uomini. Vittime che in un secondo si fanno carnefici e che il secondo successive tornano ad essere vittime spesso per il resto della loro vita. La malattia è qui raccontata in ogni sua forma: ossessioni, pulsioni, il buco nero della depressioni, lo slancio alla dissoluzione, la rabbia senza freno, la capacità di uccidere. In molte vite questi aspetti si confondono, si mischiano. Come nel caso di Emilio che si sente vittima di un'ingiustizia e su questo sviluppa la sua personale ossessione. La singolarità sta nel fatto che Levantini è un medico ed uno psichiatra ma la consapevolezza non lo salva perché la malattia annulla consapevolezza e lucidità. E forse non è casuale che la raccolta parta da questa storia come a dire: nessuno è salvo, nessuno si salva. Levantini ha partecipato a un concorso ed ha perso a suo giustizio ingiustamente, superato da un candidato da lui considerato incompetente. L’ossessione la porta ad uccidere il suo concorrente.
Poi c’è Amalia che contro ogni logica - è in istituto - vuole diventare madre. E lo diventa, resta incinta. Salvo poi entrare in crisi e rendersi conto che no, in quella situazione madre non può essere, e allora comincia a picchiare la sua pancia gonfia. Poi la storia va come deve andare, il bambino nasce e le viene portato via. E l’ossessione di Giovanni per sua madre. Quando lei muore lui si perde . Fugge dal mondo perché senza sua madre nel mondo non vuole più starci. Che nessuno lo tocchi però perché lui che è buono potrebbe diventare per attimo, solo un attimo il più violento, e lo diventa. Cinzia diventa una furia quando le dicono che sua madre è una prostituta. Poi però si convince di essere come lei e allora....E poi c’è Rodrigo che un po’ chiede la carità, un po’ ruba fino ad uccidere. Rodrigo è arrogante e violento, e senza la percezione del limite, al punto che da morire per dimostrare, in una insensata sfida, di non avere alcun timore.
La potenza di queste pagine è lo sguardo di Piersanti, senza giudizio, senza pietismo. La sua capacità di connotare con leggerezza senza mai rischiare la caricatura. La lingua del poeta è qui perfetta nell’arte dell’affresco per immagini fulminee e luminose. Piersanti riesce a raccontare restituendo la percezione che ognuna di queste anime perse ha del mondo. Il suo sguardo cioè è il loro sguardo. Anime che agiscono senza alcuna consapevolezza del male, perché, nella malattia, bene e male si confondono. Si toccano, si mischiano. I folli di Piersanti sono responsabili ma non hanno colpa. Il poeta non indugia nel racconto dell’inferno (cos’altro è il manicomio), allude il dolore, lo libera dalla materia, permette ai suoi folli di volare.
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