Un tempo si diceva che la danza è un'arte mimetica: non solo imita la gestualità banale del quotidiano ma si ispira soprattutto alle fome delle arti visive. Naturalmente è molto di più, ma certo è che ancora oggi l'immaginario di un coreografo può essere sollecitato da suggestioni pittoriche, che segnando l'atmosfera della danza si amalgamano nel fluire del movimento, appaiono e scompaiono tra gesti che si relazionano con lo spazio e con la musica. La sfida, in questo caso, è riuscire a portare lo spettatore oltre la citazione: condurlo in un mondo di emozioni e di significati che quell'immagine sintetizza, aprirgli altri mondi, offirgli chiavi per fare il proprio viaggio emotivo. È esattamente quello che succede con La Morte e la Fanciulla, che Michele Abbondanza e Antonella Bertoni – coppia storica della prima generazione di autori italiani degni del nome- hanno creato nel 2017 sugli omonimi Lied e Quartetto schubertiani.
La struttura del lavoro è “classica” nella sua scemplicità: esposizione, attraverso l'ascolto del Lied- e quindi delle parole
del poeta Mathaus che raccontano l'orrore della Fanciulla e le seduttive parole della Morte – e poi sviluppo sui quattro tempi
del Quartetto, intervallati da video che rivelano il dietro le quinte, gli attimi di riposo. Ma nella sua classicità è chiaro
l'assunto: il tema eterno di Eros & Thanatos che dal romanticismo schubertiano arriva e trova la sua massima espressione negli
anni decadenti a cavallo del Secol breve- dove con l'eros mortifero si recupera l'idea intrigante della vanitas. L'esile nudità
delle tre strepitose interpreti – Eleonora Chiocchini, Valentina Dal Mas, Claudia Rossi Valli – si attaglia perfettamente
all'idea e in più rimanda ai tempi utopistici e gloriosi della scoperta del vitalismo del corpo, della sua energetica rinascita
e gloria esaltata da comunità idealistiche come quella di Monte Verità, in cui appunto la danza riusciva ad affermare l'unità
del corpo e della mente, degli impulsi e della ragione. E così la danza mossa da Abbondanza-Bertoni rievoca le concezioni
ritmiche e espressive della danza libera storica, nello scuotimento del corpo, nelle corsette indisciplinate, nei girotondi
delle fanciulle che però rimandano anche a Matisse. In continue rifrazioni e evocazioni, infatti anche gli elementi pittorici
emergono dai gruppi in cui le tre si intrecciano, teneri abbracci e fluenti capelli: ora nelle composte strutture di Klimt
ora nello squassante turgore di Schiele.
Appare il Cigno morente di Fokine nell'espressivo palpitare delle braccia, nello scivolare dei passi; e poi le urla deflagranti del corpo bauschiano. Immersa in una nebbia che avvalora l'idea di un flusso di memoria onirico, la danza si dipana vorticosa e morbida e le tre, solidali nell'incontro con il mistero assoluto si sostengono amorevoli e attente: ogni tanto una freme, l'altra cade atterrita, l'altra ancora si inoltra curiosa. Onesto e ispirato, esaltato da una danza/danza che mangia lo spazio e i muscoli delle interpreti fino a renderle stremate al suolo, La Morte e la Fanciulla continua il suo viaggio teatrale su e giù per l'Italia. Noi l'abbiamo visto al Teatro Abeliano di Bari per Danza a Bari; a novembre sarà al Teatro Sociale di Trento, con atout, l'esecuzione dal vivo del capolavoro da cui trae forza.
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